Letteratura

Matteo Melchiorre, un Duca troppo insicuro

Ricevo dalla Einaudi il romanzo di Matteo Melchiorre, Il Duca, autore circa quarantenne di cui al solito non so nulla, solo che questa pare essere la sua opera prima dal punto di vista narrativo. E’ un romanzo spaccato completamente in due, come in parte suggerisce il titolo. Protagonista ne è appunto un Duca, che tale però è se se ne va a ripescare la remota nobiltà appartenuta ai suoi avi, della famiglia dei Cimamonte, con degno insediamento in una pomposa villa sita in una non so se davvero esistente Vallorgana. Dai mobili di questa casa avita, ricca di anfratti e nascondigli segreti, saltano fuori documenti che confermano la nobiltà di cui il protagonista è ora l’ultimo, distratto, inetto, perplesso erede. E devo dire che tutto questo versante, tipicamente romanzesco, non funziona molto bene, ne vengono fuori fantasmi abbastanza prevedibili, tra antenati validi, onesti, e altri invece macchiati di ogni possibile colpa. Molto più avvincente è invece quanto riguarda il presente di questo nobiluomo, del resto alle prese con una sua costante inettitudine, cui tentano di porre rimedio alcune benevole presenze, tra le quali emerge  soprattutto la figura modesta di Nelso, un rude popolano che però se ne intende di quanto occorre a quel natio borgo selvaggio e dunque sa dare dei buoni consigli al presunto Duca, di cui egli tiene conto in misura molto parziale per un orgoglio atavico che funziona da cattivo consigliere. A confermare il carattere del tutto prosaico, di piccola entità terriera dei nostri giorni, domina al centro di queste pagine la figura di un rivale, di un concorrente sleale, sempre prono a tramare inganni a danno di quel presunto, spocchioso arisocratcio. Si tratta di tale Fastreda, vero e proprio genio del male, che, approfittando dell’inettitudine della controparte, cerca di portargli via buona parte delle  terre, e giunge perfino a dare fuoco alla sua abitazione. Diciamo pure che il nostro narratore, sempre a disagio quando tenta di risalire agli anni del passato, è invece capace di darci descrizioni molto veridiche, incalzanti sui vari accedenti occorsi nei nostri tempi, dove è sempre in agguato la malvagità degli esseri umani, cui si aggiunge lo scoppio di disastri ambientali, sul tipo di quella famosa bufera di vento che nel Veneto ha fatto strage di alberi, e in queste pagine ne troviamo una eco abbastanza fedele e puntuale.  Ma sempre restando entro la dimensione modesta di una narrativa di provincia, di basso profilo, vi si consuma il caso  più inverosimile, ma non privo di una sua possibile veriità. In quei borghi antichi dove tutti conoscono tutti, le donne si stancano di aspettare gli uomini, costretti a emigrare per cercare lavoro, e così restano esposte ad amori di breve durata, non privi però di sbocchi genetici. Nascono cioè figli bastardi, di incerta paternità. La cosa riguarda perfino il persecutore del Duca, il maligno e perverso Fastreda, che a una svolta del romanzo risulta esserne addirittura un fratellastro, e dunque la crudeltà che egli pone nei rapporti reciproci è segno di gelosia, o forse di amore perverso che si rovescia in odio. Ma in definitiva la figura meglio riuscita di questo romanzo sta proprio nel maligno, diabolico, a modo suo, Fastreda, e nella sua morte che avviene lasciandosi cadere in una delle tante cavità oscure che assediano quel lembo di natura semplice ma ricca di  misteri. Al confronto di tanta determinazione, nel bene e nel male, il comportamento dello pseudo-Duca appare molto più  incerto, resta a pesare come il lato irrisolto dell’intera vicenda.

Matteo Melchiorre, Il Duca. Einaudi, pp. 453, euro 21.

Standard