Arte

Kiefer a Venezia

Qualche tempo fa avrei puntato su Anselm Kiefer come numero uno tra i Tedeschi Neuen Wilden, preferendolo a Georg Baselitz, monotono col suo pittoricismo che sembrava tentare disperatamente di riacquistare un motivo di originalità presentando le sue figure capovolte, piedi in su, teste in giù. Ora ho cambiato parere, tanto è vero che in una mia recente pubblicazione che dovrebbe uscire nei Postmedia di Gianni Romano ho dedicato un dossier al più anziano dei due, Baselitz appunto,  ponendo invece il più giovane Kiefer  in una posizione alquanto defilata. Ciò in parte è dovuto alla sua maxi-prestazione che, in concomitanza con l’attuale Biennale di Venezia, ha condotto in un sede nobile quale  il Palazzo Ducale, Sala dello Scrutinio, osando ricoprire un affresco del grande Tintoretto. Beninteso, di Kiefer continuo a salvare, e a considerare con piena stima, le Sette Torri che dominano il milanese Hangar della Bicocca, ormai cinte da una parete divisoria e divenute quasi un simbolo di quello spazio. Di Kiefer mi piaceva, e mi piace ancora, la posizione che ha preso di distacco dal ricorso alla fotografia, evitando  quei riporti ad alta fedeltà che erano tipici della stagione del concettuale, mentre le sue immagini sono giustamente imbrogliare con interventi grafici e pittorici, che gli danno sembianze naturali, di ambienti degradati, macchiati dai nostri rifiuti, E proprio l’enorme copertura ora sciorinata nella Sala del Ducale è una specie di impresa celebrativa di questo spirito, che però ha un torto, forse incidentale, non previsto dall’Autore. Ci ricorda le pianure desolate dell’Ucraina, ricoperte di fango, maculate sia dai bombardamenti e da ogni traccia del conflitto che vi imperversa, sia dalle pesanti tracce che i mezzi cingolati imprimono su quel terreno acquitrinoso e già per conto suo amorfo e indeterminato. Rispetto a tanta indecisione e imperversare di mezze tinte, di mezze soluzioni, mi piace attualmente quanto fino a poco tempo fa mi dispiaceva nell’altra figura dominante dei Nuovi Selvaggi Tedeschi, appunto Baselitz, questo anche per un mio ritorno di apprezzamento nei confronti di una ripresa di pittoricismo, di cui io stesso sono un piccolo rappresentante nella pittura che ho ripreso a dipanare, non so bene con quale esito. Ma nel caso di Baselitz, può piacere proprio la furia di quella sua ripresa, violenta, accesa, prorompente, ben al di là delle mezze tinte, tra il fare e il non fare, tipici di Kiefer. Perfino quell’ “impiccare” a testa in giù le sue vittime può diventare un tentativo riuscito di ritrovare un margine di autenticità pur nella ripresa di un vecchio esercizio, che diversamente potrebbe apparire già passato agli atti e privo di nuove possibilità.

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