Mi sono acquistato l’ultimo romanzo di Marco Missiroli, Avere tutto, cui riesco a dare un giudizio più favorevole rispetto al precedente Fedeltà, del 19. Quella prova mi era sembrata entrare in pieno nell’attuale main stream, non particolarmente allettante, di biografie, forse in parte anche “auto”, di esistenze allo sbando, tra la ricerca di affermazioni di prestigio, cedimenti alla droga, amori facili intrecciati a ripetizione. Il tutto senza dubbio con qualche riferimento a radici abbastanza autentiche, che nel caso del nostro autore riguardano la riviera romagnola, esercitando anche su di me, frequentatore a suo tempo di quei lidi, un qualche richiamo affettivo. L’attuale romanzo risulta spaccato in due. Per un verso c’è un Sandro Pallavicini che non smentisce certo quella sua comparsa anteriore, anzi, la ricalca fedelmente. Come i personaggi felliniani anch’egli ambisce a venir via dal natio borgo selvaggio, frequentare una Milano metropolitana, e qui darsi ai soliti vizi, tra cui soprattutto il gioco a poket, con sedute ricostruite accuratamente in tutte le loro fasi, in genere destinate a finire con gravi perdite del protagonista, così inducendolo a slittare sulla seconda parte del romanzo, consacrata all’amore per il padre, Nando Pagliarani (naturalmente anche questo cognome esercita su di me qualche ovvio richiamo affettivo). In realtà, il romanzo, invece di avere l’insulso e ingiustificato titolo che esibisce (Avere tutto), avrebbe potuto intitolarsiVita col padre. E’ costui un genitore invalido, bisognoso di continue cure e assistenza, che il figlio tra una scappate e l’altra nel regno del vizio delle carte, è pronto a concedergli, quasi a titolo di espiazione, e per meritarsi in articulo mortisl’approvazione del genitore, che in passato non aveva mai mancato di rampognarlo severamente. Lui, onesto proletario, che, come unico svago, aveva la danza, che praticava con la moglie, personaggio morto prima, e dunque praticamente inesistente nella trama, Da un lato, abbiamo le confidenze di uno yuppy, coi suoi alti e bassi, da un altro, i racconti molto più sinceri e partecipabili di un proletario acqua e sapone, il cui unico svago stava proprio nella danza, ma in cui aveva commesso un passo falso di cui non si sapeva dare pace, anche a distanza di tanti anni, E anche la scena di questo intrattenimento, e caduta fatale, esercita un’attrazione su di me, in quanto era avvenuto in una sala da ballo di Gabicce Monte, luogo mitico della mia adolescenza, Forse Missiroli avrebbe dovuto avere il coraggio di spaccare in due la sua narrazione, presentando da sola la commossa rievocazione della vita del padre.
Mario Missiroli, Avere tutto, Einaudi, pp. 159, euro 18.