Letteratura

Murakami tra realtà e irrealtà

Intervengo per la seconda volta su un’opera dello scrittore giapponese Murakami Haruki, dopo aver commentato in questo sito il “Kafka sulla spiaggia”. Ora è la volta de” L’assassinio del commendatore”, ma forse faccio male a parlare subito, in quanto l’autore ci avverte che questa è solo la prima parte di una trilogia, e dunque, sarebbe più corretto pronunciarsi solo dopo che l’impresa si sia sviluppata in toto. I vuoti, i dubbi, le incertezze che andrò a registrare, e a mettere anche sul conto di un giudizio finale, potrebbero trovare soddisfacenti risposte in corso d’opera. Resta ovviamente la conferma di certe virtù già comparse nel capolavoro precedente, che si potrebbero riassumere, ricorrendo alle sempre utili categorie fornite da Vittorio Spinazzola, in una perfetta combinazione tra “new realism” e “new epic”, ovviamente da non accompagnare col riferimento alla produzione italiana, in cui si stenta a trovare qualche frutto similare di una simile coabitazione. Per un verso, gli eroi di Murakami scorrono su un piano di assoluta prosaicità e volgarità. L’attuale protagonista, che è un buon grafico-disegnatore, ha una vita sessuale “come ce ne sono tante”, il che prevede che la moglie a un certo momento lo metta alla porta, avviandolo a un nomadismo in definitiva assunto con piacere, rallegrato da una perfetta catena di viaggi, di soste in ristoranti e alloggi che forniscono, a un eventuale turista, una perfetta guida di come comportarsi in suolo nipponco, dove fermarsi per mangiare, dormire, magari anche concedersi qualche avventura sessuale lungo il cammino. Infine un collega e amico gli offre un “buen retiro”, che sarebbe la villa in campagna dove risiedeva il padre, ora afflitto dai mali della vecchiaia e internato in un ricovero. Ma nel suo passato era stato un importante e stimato pittore, con un decisivo soggiorno a Vienna, dove aveva assistito a un delitto orrendo, forse già in chiave di repressione antisemita, da cui aveva ricavato un dipinto impressionante. Vi si vedeva un “commendatore”, o comunque un personaggio di spicco, che veniva ucciso a colpi di spada da una specie di samurai, con violento spargimento di sangue, e alla presenza di un enigmatico testimone. Ebbene, questo dipinto fatale è presente nella dimora in cui Yuzu va a soggiornare, inquietandone i sonni. Ma ci sono altri buchi neri, interrogativi, uscite laterali che si inseriscono nella trama impedendole di scorrere in orizzontale. Infatti Yuzu ha un vicino, figura misteriosa, che non si sa bene come abbia si sia costituito un solido patrimonio, certo è che è stato in grado di innalzare una villa poderosa. Ora l’enigmatico vicino di casa avanza al nostro artista una richiesta, accompagnata da congrua retrobuzione, irrinunciabile, di fargli il ritratto, posando per lui ma a condizioni molto specifiche. Qui si dà una curiosa concomitanza con un racconto del nostro Alessandro Baricco, “Gwin”, tanto da doversi chiedere se ci sia stata qualche interferenza tra i due. Fatto sta che anche il protagonista di quel racconto è un ritrattista “concettuale”, fa posare le persone ma per ricavarne solo una descrizione verbale. Anche il ritratto che Yuzu conduce del misterioso vicino ha tratti irreali, magici, che però sono poca cosa rispetto a un trillo di una campanella che viene a tormentare i suoi sonni notturni. I due si alleeranno nell’andare a indagare sulle origini di quel suono misterioso, il che li porterà a scoprire una cavità sotterranea. Infatti la narrazione del nostro Murakami si caratterizza, come già detto, dall’aprirsi di “enclaves”, grotte, pertugi, nel tempo e nello spazio. In questo caso poi l’autore non si esime dal dare consistenza al ritratto misterioso dovuto all’anziano proprietario della casa, quasi che si dotasse della celebre vernice del Dottor Lambicchi, da cui era deliziata la nostra infanzia, quando leggevamo “Il corriere dei piccoli”. Ovvero, da quel quadro salta fuori proprio il “commendatore”, con evidente riferimento al Don Giovanni di Mozart. Insomma, il “convitato di pietra” si materializza, ma in formato ridotto, infliggendo un colpo mortale alla verosimiglianza del racconto, ovvero dalla dimensione di un neorealismo balziamo in piena phantasy. E ci sono tanti altri eventi arcani a scuotere la vicenda, che l’autore giapponese non lascia mai scorrere su un unico piano, ma movimenta con continui salti di ogni tipo, dal presente al passato, dal reality al phantasy, come si diceva. E’ una mescolanza che senza dubbio ci affascina, ma che talvolta non appare ben amministrata, lasciandoci increduli e sospettosi. Diamogli però il tempo giusto per risolvere, o quanto meno attenuare, nei passaggi successivi, questi dubbi e interrogativi che al momento inducono a tenere alquanto sospeso il giudizio.
Murakami Haruki, L’assassinio del commendatore, Libro primo, Idee che affiorano, Einaudi, pp. 418, euro 20.

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