Letteratura

Oricci e la Casa viola

Ricevo da Sergio Oricci La casa viola, e sono ben lieto di parlarne, non certo per accogliere la captatio benevolentiae insita nella citazione del mio amatissimo Dubuffet e del suo patrocinio rivolto all’Art Brut. Quello è stato un fenomeno di carattere pittorico, mentre Oricci ci dà piuttosto uno spettacolo son et lumière, fondato, come dice lui stesso a p. 69, su “sequenze di immagini libere, senza perimetro”. E più avanti, a p. 125, dichiara di praticare un’”arte modesta, frammentaria, difficile da scovare”. La Casa viola in questione è un luogo irreale, fonte di inganni, illusioni, riflessi in qualche specchio, o meglio, luogo di esercizio di un caleidoscopio con tante iridescenze di cui, diciamolo pure, è ben difficile dare conto per filo e per segno, o forse è anche un modo per tradirne i veri intenti. Ci sono personaggi effimeri, cangianti, che fanno pensare ai due protagonisti di Beckett, protesi nel vano compito di En attendant Godot. O fprse si puà pensare alle libere scorrerie dei Blues Brothers, anche loro in licenza su autorizzazione ricevuta dall’alto. Insomma, in un ambito di narrazioni fin tropo costruite, i cui autori sanno bene dove andare a pescare le trame, gli intrighi, è salutare questa pioggia di fremiti inconsistenti, a ruota libera, sparati come fuochi artificiali verso tutti i punti dell’orizzonte.

Sergi

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