Arte

Patrick Tuttofuoco

Patick Tuttofuoco

A Bologna forse più che Artefiera, non diversa da altre manifestazioni del genere che si tengono in altre nostre città, è da seguire la serie di mostre poste sotto il segno di Artcity, che hanno il pregio di valorizzare artisti in genere giovani e fuori dalle grinfie del mercato, e soprattutto di far  scoprire tanti spazi insoliti. Io stesso partecipo a questa serie di proposte andando a recuperare qualche protagonista delle mie Settimane internazionali  della performance, con l’aiuto determinante di Silvia Grandi. In questo ambito oggi vorrei segnalare la mostra di Patrick Tuttofuoco, tenutasi proprio in uno di questi spai abbastanza  inediti, il Palazzo De’ Toschi, sede delle Poste. Patrick stesso, 1974, è un delle più intriganti voci nuove del nostro vivaio, al pari di Viel, Vitone, Cuoghi e Corsello, Marisaldi, venendo in su fino a Sissi. Ma mentre di questi mi è avvenuto più volte di parlare, di Patriuck non mi era ancora capitato, mentre gli dobbiamo riconoscere il merito di riprendere  una bellissima invenzione dovuta al nostro Lucio Fontana, forse il primo a ricorrere  ai tubi al neon, a loro volta legati a una profezia emessa da Boccioni quando aveva pronosticato che si sarebbe giunti a fare scultura con sostanze aeree, come appunto i gas nobili quale il neon e simili. In genere si riconosce un primato nell’adozione di questo mezzo novissimo allo statunitense Dan Flavin, che però, nell’ambito del Minimalismo, ricorre solo a neon rigidi, dominati da un ritmo di orizzontali-verticali. Si dirà che l’iniziativa di dare la mossa a quei tubicini risale ancora una volta a uno statunitense,   a Bruce Nauman, che però , dopo i primi audaci esperimenti, ne ha fatto un uso ludico,  a mio avviso degradante.  Il nostro Tuttofuoco invece è buon erede dell’idea di Fontana di flettere quei tracciati luminosi, e anzi da valido continuatore Patrick fa un ricorso quasi esasperato a un simile accorgimento, infatti i suoi neon, in genere invasi , incendiati da un colore rosso fiammante, si flettono nello spazio, vi si intrecciano, disegnano quasi dei ricami, degli arabeschi, come avviene proprio nell’allestimento visibile in Palazzo de’ Toschi. O se dal panorama aereo e smaterializzato prendono  corpo, atterrano, lo fanno pur sempre affidandosi a materiali trasparenti, invasi di luce, come meteore cadute dal cielo. Insomma, uno spettacolo vivace, coinvolgente, veramente degno dei nostri tempi e degli ardimenti che questi comportano

Standard