Letteratura

Scarpa: la natura umana al microscopio

Tiziano Scarpa è la punta d’attacco del clima magico anni Novanta, per la narrativa italiana, che assieme ad altri validi compagni ho avuto la fortuna di tenere a battesimo, nel corso di quel decennio, grazie agli appuntamenti reggiani di RicercaRE. Egli è rimasto il più ardito e sperimentale tra tutti, accettando anche generosamente i rischi insiti in una simile condotta, portata a imbrogliare i giochi tenendosi sempre alcune carte di riserva nella manica, dando scossoni alla trama, come si fa nel bigliardino per imporre un corso diverso alla pallina, magari artificiale e arbitrario. Difficile, nel suo caso, il compito di un recensore, inevitabilmente costretto all’”eresia della parafrasi”, cioè a raddrizzare i percorsi, magari distruggendo gli effetti speciali di sorpresa previsti dall’abile stratega, fino a tirarsi addosso le sue rampogne. Nella mia “lunga fedeltà” verso questo autore mi sono spesso meritato le sue rampogne e condanne, fino quasi a sentirmi intimare una interdizione a parlare di lui. Il romanzo appena uscito, “Il brevetto del geco”, risulta particolarmente complesso e laborioso, e dunque i rischi per il povero recensore aumentano a dismisura. Ma mi proverò lo stesso a fare del mio meglio. Forse al fondo di tutto c’è in Scarpa una pietà creaturale, ma subito pronta a mutarsi in disprezzo, in condanna, per una umanità dimessa, implacabilmente fustigata nei suoi vizi e limiti. I numerosi protagonisti di questa vicenda sono esseri degradati, posti ai livelli più bassi della scala sociale, infelici nelle relazioni umane, come implacabilmente denuncia l’intervento di una istanza superiore. Scarpa è troppo avveduto per far ricorso un narratore onnisciente, e dunque colui che ci parla, che tira i fili della storia, si presenta per primo in forme adeguatamente abbassate. Apprenderemo, nel corso del racconto, che si tratta di un non-nato, di una creatura vittima di un aborto, e dunque gli si addice tutta una serie di formule, è un “non-io, pre-io, de-io, ob-io, infra-io”. Già a questo punto ci si può chiedere se Scarpa non faccia spreco del suo talento, forse ciascuna di queste ingegnose proiezioni meriterebbe di essere messa a fuoco con più spazio, non limitandola a rapide e fugaci presenze quasi tra parentesi. Però, questa voce malgrado tutto autorevole e legiferante può farci ricordare qualche apparizione classica, per esempio “Il diavolo zoppo” del francese Lesage, dove il Maligno scoperchia i tetti per far apparire le miserie umane, i peccatucci che si nascondono nell’oscurità delle stanze. Il non-io in azione nella presente storia procede a questo modo, denunciando le bassezze dei vari pseudo-personaggi, Cominciamo da Adele Cassetti, nubile, condannata allo zitellaggio, che si consola acuendo le sue capacità percettive, alimentate dal geco che compare nel titolo. Questa umanità degradata al livello di insetti si diverte o si consola nello scoprire altre esistenze ai margini. In vista di un simile compito Scarpa fa intervenire un’altra istanza sovra-strutturale, oltre al non-io, costituita dal complesso delle parole, pronte anche loro ad assumere una guida autorevole nel condurre le varie trance del racconto, attribuendosi un ruolo ineliminabile. Infatti straordinaria è l’efficacia con cui il Nostro conduce le sue esasperate ricognizioni su un’ umanità abbassata, e dunque venuta a contatto di esistenze ugualmente degradate, fino a ricavarne pezzi da antologia, come quella che riguarda proprio le mosse del geco, il suo disperato tentativo di saltar fuori da una pentola le cui pareti sono foderate con un metallo scivoloso, impraticabile. Poi Adele incontra un’”anima gemella”, tale Ottavio come lei incapace di sentimenti, tanto che i due si devono limitare a praticare il sesso in modi risibili, spietatamente osservati e denunciati dal Dio di tutto questo universo. Altra figura degradata è quella di Federico Morpio, che si riconosce come artista mancato, mal ridotto a livello economico, costretto a fare ricorso a un genitore più facoltoso di lui, tentando di farsi perdonare la sua condotta dissipata col prestargli una tardiva assistenza. E qui di nuovo scatta l’attenzione microscopica, lenticolare che il Dio di questo regno perverso è pronto a elargire alle sue creature. Morpio lascia perdere gli strumenti della pittura per mettersi a curare i piedi del padre, deformati da paralisi e mancanza di esercizio, e così pelli aride, callosità indurite, unghie incarnate si fanno avanti, riempiono lo schermo. Le parole, ben consapevoli della loro dichiarata importanza, fanno miracoli per adeguarsi alle mille pieghe di questa realtà sgradevole, perfino rivoltante, nauseante, ma a un certo punto appare anche palese il loro limite, e dunque Scarpa riconosce che occorre fare ricorso a mezzi più efficaci. Ecco quindi la presenza dilagante, seppure contraddittoria rispetto alla preminenza attribuita alle parole, dei vari nuovi media di cui si valgono le arti visive. Condotto per via naturale al seguito del fare arte di Morpio, l’Autore esplica una larga e perfino eccessiva conoscenza di artisti e mezzi dell’attuale panorama, foto, video, performance, installazioni, quasi che l’intera narrazione volesse fare un salto dimensionale, prendere il volo dalla carta per confluire piuttosto in qualche dischetto o ricorso alla rete. Ricordo a questo proposito un diverbio tra me e Scarpa, una volta mi avvenne di dire che il suo, come quello dei compagni, è un realismo integrato, a differenza di quelli tradizionali, dal congiungersi con tutti gli apporti delle nuove tecnologie. Lui mi rispose, tra gli applausi dei presenti contrari alla mia tesi, che non aveva neppure l’abitudine di aprire la televisione. La televisione forse no, in quanto mezzo arcaico e ormai superato, ma tutti gli altri congegni della nostra civiltà elettronica sì, o quanto meno in queste pagine sono continuamente evocati, anche se in definitiva tocca alle parole sostenere il peso maggiore, visto che al momento Scarpa non prende la via del sistema dell’arte, ma insiste a valersi del mezzo cartaceo per offrici il suo intrigante, complesso, multiforme prodotto.
Tiziano Scarpa, Il brevetto del geco, Einaudi, pp. 328, euro 20.

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