Arte

Un’opera fondamentale di Bruce Elder

Ricevo un poderoso saggio dello studioso canadese Bruce, Elder, “Cubism and Futurism”, di ben 667 pagine, che conferma la straordinaria sintonia di pensiero esistente tra me e lui, risultante attraverso varie vie, anche a dimostrazione di una sua altrettanto limpida e rara onestà intellettuale che lo porta a riconoscere i miei contributi, invece di trascurarli, come fanno tanti altri al suo posto. Tanto per cominciare, questo saggio fondamentale reca nel quarto di copertina una mia frase in cui riassumo i punti di concordia tra le nostre due navigazioni, non ostacolate dalla barriera linguistica. Purtroppo poco di mio è tradotto in inglese, tra cui però quello che anche per me risulta essere un saggio di primaria importanza, “The Science of Culture and the Phenomenology of Styles”, apparso in inglese presso la McGill University Press di Montreal, Canada, e da lui ampiamente citato, ma in altri casi non ha evitato di tradurre nella sua lingua qualche brano importante dal mio italiano. E ci sono stati anche gli incontri diretti, due pienamente riusciti, un terzo invece “mancato”, con mio grave danno. A stringerci in una specie di patto d’acciaio è il comune riconoscimento dell’importanza da assegnare al suo concittadino Marhall McLuhan, che fu a lungo il faro universitario di Toronto, nelle cui file anche Elder ha militato fino a poco tempo fa, prima di andare in pensione. E proprio un incontro in vicinanza dei cento anni dalla nascita del grande McLuhan, tenutosi a Bologna a cura di un infaticabile studioso, “eroe dei due mondi”, Paolo Granata, mi aveva permesso di cominciare a constatare di persona la sintonia esistente con Elder. Poi, lui stesso avrebbe dovuto dirigere il mio “pannel” in un convegno-monstre che proprio Toronto ha voluto organizzare per celebrare come si deve il suo grande figlio, ma l’intento di strafare ha rovinato quell’occasione, a cui sono stati invitati troppi studiosi, mossi soprattutto dall’aspirazione di piazzare qualche “paper” per rimpinguare i loro cv con qualche titolo in più. Ma proprio una simile abbondanza di testi ha affondato quell’imbarcazione indecisa, come succede quando una zattera è presa d’assalto da una folla tumultuante, fino al punto che gli atti non ne sono mai usciti. Io, per la scarsa notorietà del mio stato di servizio in onore dell’eroe di quel convegno, ero stato relegato in una delle tante sedute poste in parallelo, a strapparsi il pubblico tra loro. Ma se Elder avesse potuto tenere le redini di quella in cui comparivo e di cui avrebbe dovuto essere il direttore, forse sarebbe riuscito a far affluire un po’ di attenzione sul mio “paper”. Invece una indisposizione temporanea lo sottrasse a quel ruolo, condannando il mio intervento a cadere nel vuoto, dato che pretendeva di volare un po’ troppo “alto” rispetto al basso livello generale dei concorrenti, che si limitavano a celebrare in McLuhan il risaputo sostenitore dei mass media, della Tv e di tanti altri gadgets similari, mentre io, in linea col mio appoggio trentennale, cercavo di dargli piena dignità filosofica, fino a farne un erede del pensiero di Kant e della sua rivoluzione epistemologica, la conoscenza come sintesi a priori tra la componente soggettiva e la presenza dell’informe massa plastica del reale. Infine, un incontro pienamente soddisfacente tra di noi è avvenuto qualche anno dopo, quando sono andato proprio alla sua Università a Toronto, Ryerson, a parlare delle esperienze di videoarte che conduco dal 2006 a Bologna, e che sono del tutto corrispondenti alle ricerche di cinema d’avanguardia di cui Elder è instancabile fabbricatore, come ha dato prova in quell’occasione. Questa nostra sintonia si stabilisce sui seguenti punti: entrambi concordiamo che sul finire del ‘700 è avvenuta una grande svolta, filosofica, epistemologica, tecnologica, ha vacillato l’edificio della scienza “moderna”, di Galileo e Newton, sostituita dai primi timidi esperimenti nel settore dell’elettromagnetismo condotti, tra gli altri, dagli scienziati italiani Galvani e Volta, con la sintesi a priori kantiana a fare da inconsapevole sfondo teorico. I nostri manuali porrebbero in quel momento il passaggio dal moderno al contemporaneo, un termine, quest’ultimo, inesistente nella cultura anglosassone, tanto che io, per rispetto verso di essa, suggerisco di sostituirlo estendendo a dismisura il termine e concetto del postmoderno. Ebbene, Elder è dei pochi, o forse l’unico al mondo, che accoglie in pieno e fa suo questo suggerimento. E ancora, venendo proprio ai due “ismi” evocati nel titolo di questa sua opera enorme, egli riconosce assieme a me i limiti del primo, che certamente ragiona secondo una concezione “aperta” dell’universo, del tutto estranea alla geometria euclidea, ma ha poi il torto di arredare questo spazio in-finito con elementi cubici, come dice proprio l’etichetta con cui è stato battezzato, col che esso rende omaggio al dio macchina. A questo, all’auto da corsa “più bella della Nike di Samotracia”, andava senza dubbio, almeno in partenza, l’’ossequio dei cugini Futuristi, però essi si sono ben presto sintonizzati sull’effetto cinematico, hanno ben compreso che la nuova concezione dell’universo lo voleva posto in movimento. Questa vocazione innovativa viene indagata in pagine e pagine dell’ampia esposizione data da Elder, con una sottigliezza e precisione ineguagliabili, per cui non tento neppure, in questo breve referto, di condurne un qualche riassunto.
Bruce Elder, Cubism and Futurism, Wilfred Laurier Univ. Press, pp. 667.

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