Letteratura

Viva il mondo delle faine

Devo confessare che nei miei interv   enti sui nostri maggiori premi letterari mi sono dimenticato del Viareggio, che invece ha fatto bene il suo dovere premiando Veronica Raimo e il suo Niente di vero, una delle cose migliori dell’anno. Invece il fior fiore di gente di lettere circolanti attorno allo Strega ha premiato l’irrilevante Desiati. Ora ritorno al compito di anticipare una mia graduatoria per il Campiello, che se non altro ha già avuto il merito di inserire nella cinquina il romanzo della Ranieri, mi auguro che possa ottenere il primo posto. Continuando nella mia ipotetica classifica, assegnerei il secondo posto a Bernardo Zannoni. I miei stupidi intenti, che ha parecchi meriti, in primo luogo di dare piena partecipazione agli animali, ma evitando di cadere nella favola. Già il fatto di mettere in primo piano il mondo delle faine lo sottrare a questo pericolo, perché non mi sembrano gli animali più titolati a prestarsi a richiami fiabeschi, anzi, il primo merito di questa romanzo è di presentare il mondo animale in tutta la sua brutalità. Purtroppo ci viene in mente a ogni passo che ugualmente precari sono oggi i guai degli immigrati, con rapporti familiari sempre in pericolo di essere superati. Sappiamo bene che uno dei caratteri della condizione animale è che le madri solo per poco tempo  assistono la loro prole, poi se ne dimenticano, stentano a riconoscere i figli se per caso li ritrovano sulla loro strada. Ma oggi non succede così anche in una umanità degradata e sottoposta ai morsi del bisogno? Le nostre cronache non sono forse piene dei casi dolorosi di figli abbandonati a se stessi, costretti a duri conflitti per la loro sopravvivenza? Altro carattere di una condizione animale molto prossima a un’umanità degradata è anche        quello della prolificità, anche perché, come diceva Baudelaire, il coito è uno dei pochi piaceri che si aprono al mondo degli ultimi. Ma poi questi numerosi fratelli e sorelle si disperdono, e mantengono solo  un ricordo molto confuso gli uni degli altri. Così   è in questo romanzo, dove nello stesso ordine di una situazione antropologica molto prossima a quella animale sta pure la presenza della tana, di un  luogo primario di protezione, con qualche tratto di vicinanza, ancora una volta, a un’umanità derelitta in quanto la prole di questi animali selvaggi è pur fatta dormire in lettoni, a riscaldarsi col calore dei corpi. La tana brilla nel ricordo di questi cuccioli costretti ad allontanarsi, magari con l’aspirazione a ritrovare quel lembo di terreno protetto, ma in genere, se anche riescono a rintracciarne la via, trovano che madri e fratelli ne sono stati scacciati e al loro posto ci sono altri animali usurpatori. Del  resto il protagonista, Archy, che ci parla in prima persona, proprio come se fosse un  ragazzino derelitto dei nostri giorni, viene “venduto” a tale Solomon, che tutti chiamano la Volpe, per l’astuzia con cui sa praticare l’usura. Naturalmente, alla base dell’economia in un simile clima ben ricostruito di valori selvaggi ci sta uno scambio di galline e di altri beni commestibili. In genere, l’impostazione del romanzo di Zannoni è efficace e coerente, tranne l’inserimento di alcuni elementi di disturbo, quasi nella pretesa di elevare questo universo di brutalità, di miseria indicibile. La Volpe e il suo schiavo si mettono a fare discorsi elevati tra di loro in cui compare perfino qualche riferimento a Dio, di cui non si sentirebbe proprio il bisogno, e il nostro Archy si dà pure alla scrittura, utilizzando gli aculei degli istrici come penne. E’ questo un  altro balzo in su di cui non si sentirebbe per nulla il bisogno, mentre è corretto, coerente sia l’innamoramento che congiunge il protagonista con una compagna, di cui poi  si  perde il ricordo, come egli stesso mantiene un vago ricordo di fratelli e sorelle, non più rintracciabili. In definitiva, l’unico vincolo solido che Arcy mantiene è con la Volpe, duro, prepotente, ma anche con qualche slancio protettivo e perfino di affetto verso quel povero essere che gli è stato affidato, tanto che lo schiavo, in definitiva grato e riconoscente, assisterà alle esequie di  quel padre-padrone. e ne sarà anche l’erede, di beni calcolabili in termini di galline, preziosa scorta alimentare per queste creature derelitte e primordiali.

Bernardo Zannoni, I miei stupidi intenti, Sellerio, pp. 243, euro 16.

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