Letteratura

Wu Ming: difficoltà di scrivere un romanzo “misto di storia e di invenzione”

Ancora una volta sono chino a esaminare, come un medico, l’ennesimo prodotto del collettivo che firma Wu Ming, uscito tempestivamente attorno ai grandi eventi della Rivoluzione russa. Ne è venuto “Proletkult”, condotto a modo loro, il che significa un arrovellarsi attorno a una problematica molto difficile. A suo tempo il Manzoni l’aveva battezzata con la formula del “romanzo misto di storia e di invenzione”, denunciandone gli ostacoli, i rischi, tanto che, dopo la splendida riuscita dei “Promessi sposi”, non ci aveva più provato, con grande delusione del pubblico italiano che era rimasto in avida attesa di un nuovo capolavoro. Il fatto è che si tratta di mettere d’accordo due corni difficilmente conciliabili, dove è la storia che alla fine rischia di prevalere, come fu proprio, nel caso di Don Lisander, quando ci diede la “Colonna infame”. Forse un eccellente, ben equilibrato esito tra i due piatti della bilancia ce lo ha dato di recente Helena Janeczek, con “La ragazza con la Leica”, cui io stesso, su queste colonne private, avevo annunciato un brillante avvenire, realizzatosi quest’anno con l’assegnazione del Premio Strega. Ma già in un caso ancor più recente, il “Mussolini” di Scurati, pur ottimo lavoro da me molto lodato sull’”Immaginazione”, e dunque con un’uscita “in chiaro”, in cartaceo, mi sono posto il quesito se ormai il prodotto non risulti troppo pendente dalla parte della storia, a danno della “fiction”. I Wu Ming fanno senza dubbio salti mortali per conciliare i due corni del dilemma, cercando di dare un’aria “fantasy” a fatti che pure vanno a pescare con zelante acribia negli annali della storia. Ma quando si cerca di servire due padroni, il pericolo è di lasciarli entrambi insoddisfatti. In questo caso la partenza è folgorante nel segno della “finzione”, balza in primo piano un tale Leonid Voloch, francamente non so se a suo tempo davvero esistito o se sia una “invenzione” del nostro collettivo. Certo è che la sua entrata in scena appare fragorosa, quindi si stenta a ricondurre l’evento a una trama storica, che però vigila e incalza nelle retrovie. Leonid è un terrorista della più bell’acqua, che nel 1905 conduce un grave attentato contro un convoglio carico di rubli ancora stampati dal regime zarista. E’ un evento quasi da western, ma poi sappiamo che quell’attentato ci fu davvero, per finanziare coi proventi di quella rapina le imprese rivoluzionarie di Lenin e compagni. Subito viene cucito a questo primo evento senza dubbio sconvolgente un altro episodio ugualmente fuori norma, sembra quasi che questo personaggio, destinato a scomparire e poi a riapparire a intervalli regolari, si sia rifugiato su un’astronave in partenza per un altro pianeta. Strabuzziamo gli occhi, mai possibile che i nostri diligenti archivisti osino tanto? Ma no, tranquilli, la storia è pronta a riassorbire questi slanci, infatti il vero protagonista della vicenda è un rivoluzionario di prima forza, Bogdanov, figura davvero esistita, e tra i primi autori di fantascienza, attraverso l’invenzione di un pianeta felice dove la rivoluzione proletaria è avvenuta davvero e l’uguaglianza sociale è stata raggiunta. Poi per qualche tmpo non sappiamo più niente di un simile UFO misterioso, se non per il fatto che da quella stella piove una figura deliziosa, la giovane Denni, vissuta a lungo in una specie di letargo. Infatti ricompare sul suolo russo quando la rivoluzione di ottobre è già avvenuta, ma lei non ne sa nulla, basti pensare che tenta di spendere proprio quei rubli fuori corso a suo tempo ottenuti con la lontana rapina iniziale. Verremo a sapere che, per vie molto strane e impreviste, la giovane è figlia dell’erratico Leonid, di cui va alla ricerca disperata. L’obiettivo però si sposta sul vero protagonista, appunto Bogdanov, che ha partecipato a tutte le fasi incubatrici della grande rivoluzione di ottobre, in dialogo, incontro e scontro, con Lenin e con gli altri grandi capi, attraverso riunioni, conciliabili, partite a scacchi che hanno giocato in esilio sull’isola di Capri, e perfino in un scuola organizzata a Bologna, chi mai lo aveva saputo? L’acribia dei Wu Ming ha scoperto perfino questa remota presenza di sussulti eversivi nella nostra comune dimora. Ma poi, a rivoluzione avvenuta, Bogdanov è divenuto sospetto all’ala vincitrice del partito, quasi sconfessato da Lenin, del resto già scomparso, mentre anche Stalin si sta già scaldando i muscoli per la conquista del potere. Bogdanov ormai è visto con sospetto, ma si salva sia per i suoi gloriosi trascorsi accanto ai leader della rivoluzione, sia per essersi dato a un ramo marginale, divenendo un grande medico che vuole inseguire il progetto della “cultura proletaria”, di un enorme afflato collettivista e unitario attraverso una curiosa tecnica delle trasfusioni, non da un donatore a un paziente che ne ha bisogno, ma anche da quest’ultimo all’altro, nel nome di una fusione dei sangui, proprio come ideale miracolosamente unitario. In definitiva se Lenin e compagni sono diffidenti nei confronti di una simile terapia, appaiono anche giustificati e comprensibili. Ma a Bogdanov va tutto il nostro appoggio quando proprio di Lenin denuncia l’ottuso materialismo ancora di specie ottocentesca, positivista, ostile ai nuovi traguardi della scienza. Però nulla da fare, Bogdanov si trova nei guai, pur coltivando generosi progetti scientifici e umanitari. Ricompare a salvarlo il lontano e a lungo sparito compagno Leonid, che però è diventato un genio del male, al servizio della Ghepeu. Qui i nostri narratori forse sfruttano qualche ricordo del “Terzo uomo”, del film dominato da una gigantesca interpretazione di Orson Welles. Il “cattivo” Leonid ha tradito tutti i passati ideali, ma a sua volta non può tradire il compagno di un tempo, che oltretutto si sta adoperando per gettargli tra le braccia quella figlia sconosciuta e in sostanza rinnegata. E così via, la vicenda si tiene in altalena tra i vari momenti e passioni e obiettivi, senza decidere a favore dell’uno o dell’altro, ma ci ha permesso di navigare in anni cruciali della rivoluzione bolscevica, senza pretendere di ricavarne alcuna morale.
Wu Ming, Proletkult. Einaudi stile libero, pp. 333, euro 18,50.

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