Arte

Biennale, che disastro i padiglioni nazionali

Dopo un discorso generale sugli spazi curati direttamente dalla Alemani, che sono il nostro Padiglione centrale e buona parte delle Corderie, con un  buon apprezzamento di molte delle artiste presentate, valido ritratto del fare arte oggi, passo a esaminare i vari padiglioni stranieri, premettendo che ne ho fatto una visita molto parziale, date le mie attuali precarie condizioni deambulatorie. In genere ho dovuto fare ricorso a una sedie a rotelle sospinta da mia moglie, il che mi ha permesso di affacciarmi appena ai vari padiglioni. Per quello italiano, al solito, col nostro inguaribile masochismo, posto nel luogo più lontano delle Corderie, ho preso addirittura il motoscafo. Purtroppo esso è uno dei peggiori della sua non certo gloriosa storia, forse superato in bruttezza solo da quello a suo tempo realizzato da Vittorio Sgarbi, che di suo non è poi così disastroso, ma chissà perché, come ben si sa in quell’occasione si era rivolto a decine di amici chiedendogli di fare un nome d’artista, magari per sbarazzarsi di qualche noioso postulante. Sgarbi ha avuto sempre un santo in paradiso ad assisterlo, nella persona di Berlusconi, non so chi sia il protettore del curatore di questa edizione, il semi-sconosciuto, almeno a me, Eugenio Viola, in collaborazione con l’altro a me sconosciuto Tosatti,  a cui, per giunta è stata data pure la conduzione in solitario della prossima Quadriennale. In quello spazio enorme Tosatti ha ricostruito con diligenza quello che sembra il set per un film del nostro neorealismo del primo dopoguerra, magari si può pensare di veder spuntare l’ombra della Magnani, o della Bosé, o della Loren, La ricostruzione è perfetta, solo che non ha nulla a che fare con l’arte, è un esercizio magari diligente ma fuori tema, inutile ai fini della ricerca artistica. Del resto, neppure gli altri padiglioni nazionali dei maggiori Paesi, quelli a cui ho potuto gettare un’occhiata rapida e difficoltosa, se la cavano meglio. La Francia allestisce, a sua volta,  una specie di appendice del Festival di Cannes, anche qui con una scena più adatta a un documentario sul tema, con tanto di musichette e campioni di  film. L’Inghilterra riempie le sue stanze con le losanghe policrome di un’artista diligente, ma noiosa, ripetitiva, Sonia Boyce, eppure è un Paese che avrebbe tanti talenti su cui puntare. La Germania, che dispone del padiglione più  grande dopo quello centrale,  al solito lo lascia in un vuoto spinto, invitandoci a una esplorazione del   suo sottosuolo, oppure a reperire sulle pareti qualche traccia di una grama esistenza in precedenti occasioni. Deludono anche  gli  USA, che come è  loro abitudine puntano secco su un solo artista, ovviamente in questo caso si tratta di una donna e di colore, il che è perfettamente giusto, solo  che la prescelta, Simone Leigh, è incerta se insistere sulle proprie radici evocandole con sculture improntate a un realismo abbastanza tradizionale, o se invece presentare delle stilizzazioni  sintetiche di carattere minimalista, come  quella specie di insalatiera gigante con cui accoglie i visitatori all’Arsenale. Anche qui, quando ci dà dei corpi astratti e ridotti all’osso, merita qualche rispetto, male invece quando adotta l’altro stile. Purtroppo le mie scarse condizioni di salute non mi hanno permesso di estendere la ricognizione, mi chiedo però se questa puntuale ricostituzione dell’ONU, con una rappresentanza concessa a  ogni Stato esistente sulla faccia della terra, non sia fonte di tedio insopportabile per i visitatori, Non si può continuare su questa strada, meglio seguire l’esempio di Documenta, dove cioè entrano solo artisti meritevoli di una  inclusione nella selezione ufficiale.  Si abbia il coraggio di operare una scelta del genere anche a Venezia, Gli altri Paesi espongano in sedi diverse, ciascuno per suo conto e su propria responsabilità, magari con qualche aiuto e sussidio della Biennale. Si eviti quella logorante sfilata di presenze incerte e modeste.

Standard