Attualità

Cannes, Irlanda, Podemos

In questa rubrica continuo ad aggiungere appunti a dossiers già imbastiti, commentando l’arrivo di nuove circostanze. Per quanto riguarda il festival di Cannes, è da commentare il verdetto incredibile della giuria, che sembra aver voluto penalizzare e umiliare di proposito la partecipazione italiana. Si poteva anche evitare di dare il riconoscimento di miglior film sia a “Mia madre” di Moretti, in quanto già premiato in precedenza, sia a “Youth” di Sorrentino, in quanto appena premiato con l’Oscar. Ma in questi casi dovrebbe scattare un meccanismo di fair play, per cui un qualche riconoscimento, a una partecipazione oggettivamente importante come la nostra, andrebbe dato, questa almeno è una consuetudine seguita quasi sempre dai vari festival. E quale opportunità migliore se non dare il premio di miglior attore o attrice a Michael Caine o a Margherita Buy? Non averlo fatto, si spiega solo con un accanimento, con una villania compiuti di proposito. E dunque, male ha fatto il ministro Franceschini ad assistere alla premiazione. Se avvisato per tempo, avrebbe dovuto cancellare la sua presenza, o se invece sorpreso dal verdetto, avrebbe dovuto andarsene con gesto volutamente plateale. In fondo, egli doveva tutelare anche gli interessi economici della cinematografia italiana. In compenso, sarà molto difficile vedere sugli schermi normali i film premiati, il circuito commerciale li respingerà come indigesti.
L’altra notizia del giorno è l’esito del referendum che nella cattolica Irlanda ha accolto il matrimonio delle coppie gay. Io ritengo che situazioni del genere debbano essere riconosciute con la modalità delle unioni civili, assicurando alle coppie che si presentino davanti a un funzionario ufficiale una sostanziale parità di diritti rispetto ai coniugi tradizionali, e cioè, diritto di eredità, reversibilità delle pensioni, trattamento sanitario per entrambi, e così via. Ma non matrimonio, dato che nella parola stessa è implicito un connotato fisiologico insopprimibile, aggravato se poi si pensa alla definizione di “seminarium gentium”, il che implica pure che chi rinuncia in partenza all’applicabilità di questa clausola dovrebbe parimenti rinunciare alla pretesa di avere figli per via adottiva. In fondo, chi partecipa a una situazione di omosessualità non si può dire affetto da una qualche forma di malattia, sarebbe accedere all’interpretazione senza dubbio filistea dei “normali” che vedono in questa condotta una sorta di perversione. E dunque, si tratta di libera scelta, a livello psicologico-esistenziale, non dettata da qualche malformazione o sterilità, e dunque, perché pretendere di avere figli? E come una comunità potrebbe affidarli, come potrebbe evitare il timore che una coppia, convinta della sua scelta omosessuale, si senta quasi in diritto di educare a una simile opzione anche la prole? Il che potrebbe avvenire pure in via subliminale, non voluta. Una volta tanto, mi sono trovato d’accordo con un articolo sul “Corriere” di Pietro Citati, che ricordava quanto la dichiarazione di omosessualità risponda a un atto d’orgoglio, di assunzione di una volontaria diversità. E dunque, perché degradare un simile atto nelle sue prerogative cercando di simulare una condizione di paternità? Naturalmente, ammissibile, questa, se uno dei partner nella sua esistenza precedente avesse procreato.
La pronuncia irlandese a favore dei matrimoni gay è certamente dovuta ai giovani elettori, pronti a votare contro tutto ciò che abbia il sapore di provenire dalla società dei padri, degli anziani, considerata punitiva nei loro confronti. Sono gli stessi giovani che in Spagna hanno alimentato il voto della lista “Podemos”, e che anche da noi ingrossano le file dei Cinque stelle, con l’effetto di non schiodarsi dal più del 20% di cui continuano a godere nei sondaggi. Purtroppo simili esiti elettorali, non in quello irlandese perché là si è trattato di votare secco per un unico quesito, si rivelano poi impotenti, “possono” sì, nella cabina elettorale, ma poi alla lunga risultano inconcludenti. Però i partiti ufficiali devono prendere atto dell’esistenza di questa grossa spina al fianco, e ritengo che debbano reagire non già irrigidendosi, o restringendo i loro statuti, bensì allargandoli. Ci vogliono insomma partiti liquidi, aperti, il modello statunitense è quello che risulta al giorno d’oggi il più efficiente. Insomma, l’unica è di cercare di riprendere e di inglobare queste masse di giovani legittimamente protestatari, che colgono a volo ogni occasione per opporsi, anche se poi non riescono a portare a casa nessun esito positivo.

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