Attualità

De’ Foscherari, uno e due

Non so se il pubblico bolognese che numeroso alcuni giorni fa si assiepava nell’atrio del MAMbo per celebrare il più di mezzo secolo di esistenza della Galleria De’ Foscherari, la più importante nella vita artistica nostrana del secondo Novecento, ha ben capito che gli eventi erano due. Uno di questi, è una antologia dei vari artisti che in quel lungo periodo sono stati presentati dalla Galleria, nelle varie sedi occupate, e purtroppo, diciamolo pure, è un’esposizione inadeguata, fatta per sommi capi, seppur eccellenti, questo per una vecchia colpa dell’ex-sindaco Vitali che ha liquidato la GAM, in zona Fiera, ampia a sufficienza tanto da poter ospitare il permanente e il temporaneo. Mentre l’attuale sede non ce la fa, sia perché non si è provveduto a tramezzare l’enorme volume al pianterreno, ora occupato dalla bella mostra di Cesare Pietroiusti, sia perché il primo piano si trascina dietro la collezione Morandi. Bastava aspettare che Pietroiusti terminasse il suo tempo, dando alla storia della De’ Foscherari l’intero pianterreno, e si sarebbe avuto un volto esauriente della sua fitta attività, facendo uscire anche un relativo catalogo. Invece in quella occasione, e senza dubbio la cosa era dichiarata, si celebrava piuttosto il Notiziario che i cataloghi della Galleria avevano ospitato poco dopo la sua nascita, a partire dal 1965, questi interamente ad opera della coppia Pietro Bonfiglioli-Vittorio Boarini, con quest’ultimo ancora sano e vegeto a officiare il rito del ricordo, ma così, inevitabilmente, portato a dare l’impressione che fossero stati lui e il suo socio a ispirare le varie scelte della Galleria. Così invece non è stato, queste di volta in volta erano dovute al fondatore Franco Bartoli, con l’assistenza di Concetto Pozzati, cui poi è subentrato Pasquale Ribuffo. Quanto al duo Bonfiglioli-Boarini, fu loro compito aggiungere ogni volta un Notiziario in cui facevano sfoggio del loro pesante ideologismo, a colpi di marxismo, paleo o neo, e di Scuola di Francoforte, molte volte senza un chiaro collegamento con le mostre stesse. Per carità, si tratta di due operatori eccellenti, Boarini ha solidi titoli di merito in ambito cinematografico, Bonfiglioli è stato un eccellente critico letterario, con contributi di prima forza a Pascoli e Montale, di cui io stesso, nella mia pratica letteraria, mi sono valso. Ma quanto a sensibilità artistica, credo che ne avessero, e la cosa si ripete per il sopravvissuto dei due, alquanto scarsa, come del resto comprova il fatto che, in campo visivo, abbiano esercitato quasi esclusivamente in quella sede. Forse se qualcuno si è spinto a leggere il risvolto del catalogo pubblicato nell’occasione, interamente dedicato ai Notiziari, può avere osservato una cosa curiosa, vi si legge che era stato Renato Barilli ad accendere le polveri, devo questa leale dichiarazione ai due eredi dei padri fondatori, Bernardo Bartoli e Francesco Ribuffo, che ringrazio sentitamente, mentre Boarini ha pensato bene di omettere quella mia iniziale testimonianza, che si può leggere nel secondo dei mie volumetti “Informale oggetto comportamento” (Feltrinelli), dove funziona proprio da piena, esplicita premessa all’arrivo del comportamento, che andavo ad analizzare sul versante californiano, parlando della libera ed estrosa Funk Art, in opposizione alla fin troppo solida e squadrata arte newyorkese quale espressa dal Minimalismo. Poi, certo, l’arrivo dei due, catafratti nel loro ideologismo, mi ha intimato un “fatti più in là” onde poter dominare sovrani, a snocciolare i loro dogmi paleo o neo-marxisti. Intendiamoci, i loro interventi di quegli anni sono da considerare meglio che l’”arte di comune”, come ebbi a dirla io polemicamente sulla rivista del “Mulino”, partendo lancia in resta contro Franco Solmi e il suo “nazional-surrealismo”, così ebbe a definirlo Achille Perilli, ahimé con l’appoggio di un intellettuale di prima forza quale Renato Zangheri, troppo sensibile al richiamo di alcuni coetanei che si chiamavano Dino Boschi e Leonardo Cremonini, quest’ultimo allora in auge a Parigi, e se si vuole col merito di aver sostituito a Guttuso un più versatile e godibile Matta. Fin qui, poteva esserci qualche solidarietà tra me e i due ideologi, che certo mantenevano più alto volo, ma non giunsero mai a stigmatizzare apertamente l’operato di Solmi e le sue Biennali d’arte contemporanea, lasciandomi da solo a sostenere la causa delle avanguardie in suolo bolognese, magari all’ombra del nato frattanto Gruppo 63, e in effetti, proprio nel ’70, mi riuscì di fare (“Gennaio 70”) una mostra molto innovativa, sperimentando addirittura per la prima volta su suolo bolognese (Museo civico), o forse addirittura nel mondo, la videoarte, ma con l’appoggio non certo di Solmi o di Bonfiglioli, bensì dell’erede spirituale di Gnudi, Andrea Emiliani, e col soccorso di Maurizio Calvesi, e soprattutto di Tommaso Trini, in fondo l’alter ego di Germano Celant nella creazione dell’Arte povera, anche se poi quest’ultimo si è preso sotto controllo l’intero movimento spodestando ogni altro pretendente. E dunque, avviso ai naviganti, non confondano tra loro i due eventi, restino assieme a me in attesa di una mostra come si deve dell’intero svolgimento delle scelte della De’ Foscherari, comprese per esempio due mostre che allora presentai (anche in questo caso si veda il secondo volumetto Feltrinelli), quella dello spagnolo Edoardo Arroyo, estremamente coraggiosa perché vi presentava un soggetto dipinto in quattro stili diversi, aprendo la strada al citazionismo, ovvero a quella che poi avrei chiamato la “Ripetizione differente”. E in tema di Pop Art presentai anche il numero uno di quella tendenza in Francia, Hervé Télémaque. Di tutto questo invano si cercherebbe testimonianza nei pesanti codicilli del duo Boarini-Bonfiglioli.
Il Notiziario della Galleria De’ Foscherari, 1965-1989, a cura di V. Boarini, autoedizione.

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