Letteratura

Di Paolo: scorrevolezza con inciampo finale

Ricevo l’ultimo romanzo scritto da Paolo Di Paolo, “Lontano dagli occhi”, e ben volentieri ne parlo, anche perché è accompagnato da un lusinghiero biglietto di stima nei miei confronti, non pare che l’autore se la sia presa troppo male per alcune riserve con cui avevo accolto il suo precedente “Una storia quasi solo d’amore”. Nel frattempo Di Paolo è cresciuto nella presenza critica, direi che non c’è giorno in cui non esca qualche suo articolo nella flotta costituita da Repubblica-Espresso-Robinson, e anche il prodotto narrativo è decisamente migliore. Il rimprovero che allora gli muovevo era di aver inserito alcuni motivi di disturbo, nello scorrere della vicenda, che non giovavano all’effetto complessivo. Di Paolo si ispira al mondo d’oggi, rientra quindi in quanto definirei un neo-neorealismo, quasi uno scrivere una serie bis di “Gettoni” alla maniera di Vittorini e Calvino, magari rilanciati da Pier Vittorio Tondelli. Se nel romanzo precedente dominava una figura di maschio, ma incerto se sfruttare con le sue doti di seduttore un’anziana signora o invece una giovane semplice e modesta, qui il maschio fa un passo indietro, anche se si moltiplica per tre e merita una sorta di primo piano in partenza, nel senso che ci vengono subito presentati tre giovanotti perfettamente conformi alle varie caratteristiche dei nostri tempi, dediti a vizi comuni e diffusi, tra cui quello di gettarsi in amori facili, toccata e fuga, nel che è compresa anche la fecondazione di fanciulle incontrate per caso, con le quali però non vogliono assumere rapporti stringenti, anche se messi di fronte alla paternità che hanno causato, magari pure disposti a metterla in discussione. Ma dopo questo primo piano, la parola passa alle tre giovani donne che sono state le vittime di queste fecondazioni non certo richieste, e dunque il romanzo si scinde in tre racconti, intitolati alle rispettive eroine per caso, del tutto involontarie, che ci si chiamano Valentina, Luciana e Cecilia. Di Paolo è bravo nel tratteggiare le loro situazioni, assolutamente tipiche di come vanno le cose al giorno d’oggi, con relativi dilemmi. Che fare, di quelle creature che stanno nascendo nelle loro pance? Come dirlo a genitori e amici, amiche in particolare? Tentare di responsabilizzare i probabili partner? Nascondere la cosa, prepararsi a un aborto, per via legale o meno, oppure tenersi il nascituro? Sono altrettanti dilemmi perfettamente istruiti dal narratore, forse in modo troppo piano e scorrevole, tanto che anche questa volta si è sentito in obbligo di inserire un inciampo a tanta fluidità. I titoli dati alle due parti del romanzo sono eloquenti, la prima si chiama “Vicino”, proprio perché segue in cronaca diretta i tre casi, quasi con andamento diaristico, con rispetto del calendario e delle sue sequenze. Poi, molto più ridotta, segue una seconda parte, “Lontano”, che si può anche intendere come una precisa volontà dell’autore di allontanarsi dalla precedente scorrevolezza di mosse e vicende. La parola passa ai nascituri, diviene problematica, in quanto non si sa se questi vedranno mai la luce, e si muta quindi in un audace, temerario discorso davvero sui lontani, sulla sorte della nostra umanità futura, messa a dura prova dal rischio di aborti a catena, o di caduta delle nascite. E’ un’impennata di tono certamente ragguardevole, ma che forse contraddice alquanto rispetto al tono colloquiale, fin troppo fluido e normalizzante adottato in precedenza.
Paolo Di Paolo, Lontano dagli occhi, Feltrinelli, pp. 189, euro 16.

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