Arte

Il purgatorio di Ilario Rossi

E’ stato giusto dedicare una retrospettiva a Ilario Rossi, seppure in una sede alquanto minore qual è quella di via Clavature, comunque appartenente al glorioso schieramento museale istituito da Fabio Roversi Monaco, prima di essere detronizzato. Rossi, come Ciangottini, Borgonzoni, Mandelli e Minguzzi, ha costituito un gruppo che, partito ancora da impostazioni alla Morandi negli anni anteguerra, poi, scavalcato quel momento disastroso, si è aperto alle novità transalpine impiantando sull’iniziale impostazione naturalista qualche schema di tipo postcubista, e dunque aprendosi al muovo, ma forse non abbastanza, almeno a giudizio di Momi Arcangeli, che pretendeva di più, voleva che si buttasse via quella stampella per far fremere la pittura ai primi fermenti di quello che poi sarebbe stato l’Informale, e che Momi avrebbe introdotto schermandosi sotto la sigla più a lui familiare dell’Ultimo naturalismo, e dunque di quel gruppo egli si portò dietro, e venerò poi negli anni successivi, il solo Mandelli, affiancandolo alle sue autentiche scoperte, Ennio Morlotti e Mattia Moreni, poi aggiungendo a loro il quartetto Bendini, Ferrari, Pulga, Vacchi, che avevano ben poco concesso alla stagione postcubista, entro cui rimase ingabbiato il pur raffinato Sergio Romiti. E dunque,  tornando al nostro Rossi, certo anche in lui il paesaggio si è allargato, ha assunto misure aguzze, diedriche, ma non a sufficienza, sotto l’occhio esigente di Momi, che dunque l’ha lasciato in una specie di purgatorio, ma valido, come succede davvero nella cantica dantesca a molti personaggi validi che però non accedono ai cieli superiori. Nelle sale della Chiesa della Vita Rossi svolge il suo balletto, tra mosse audaci in avanti e invece improvvise battute d’arrest

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