Arte

Omaggio a Rothkoi

   Leggo che a Parigi la Fondation Vuitton dedica una vasta retrospettiva a Rothko (1903-1970) e mi accorgo che ben raramente ho parlato di lui, forse per la mia atavica antipatia verso le soluzioni geometrico-analitiche, a favore di quelle sintetiche, e dunque ho confuso Rothko con quella specie di opposizione di sua maestà che, al momento dell’espressionismo astratto dei Pollock, Gorky, De Kooning eccetera, era rappresentata da Ad Reinhardt e da Barnett Newman, padri di una vasta progenie. Ma il caso di Rotko è ben differente, intanto anche in lui, come in quasi tutti, si scopre una fase anteriore al raggiungimento del suo stile tipico, quando si muove ancora nelle coordinate di un realismo alla Hopper, per esempio in una Entrance to Subway, dove però è già in atto il suo tipico procedimento di liquefazione da cui sono attinte le putrelle della stazione metropolitane e ogni altro oggetto solido. Poi nel dopoguerra le chiazze si allargano, fino a occupare l’intero spazio del dipinto, ma mantenendo un carattere mobile e liquido, evitando assolutamente lo hard edge tracciato col tiralinee, come se ci fosse sempre qualcosa oltre il primo piamo, una serie di spessori multipli capaci di dare profondità alla visione. Ma il fatto più straordinario sta nella tavolozza scelta dal nostro pittore, fatta di quei colori acidi o al contrario fin troppo piacevoli che ritroveremo decenni dopo nel postmoderno, una gamma che oggi incontriamo negli studi dei professionisti o nei supermarket e che hanno il loro cantore in un Halley, tra gli altri. Un esito che assicura l’attualità di Rothko e che lo rende pienamente meritevole di questo mio tardivo eulogio,

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