Letteratura

Palazzeschi: da Perelà a Remo

Palazzeschi, da Perelà a Remo
L’altro giorno sono andato a vedere, al Teatro Duse di Bologna, una replica delle “Sorelle Materassi”, spettacolo tratto dal ben noto romanzo di Aldo Palazzeschi, con adattamento, molto fedele al testo, di Ugo Chiti, regia, anch’essa rispondente ed efficace di Geppi Gleijeses, e recita calzante delle tre protagoniste, Lucia Poli, che nel fisico ricorda il fratello e sa ben assumere la durezza di Teresa, mentre Milena Vukotic dà una nuova prova della sua versatilità che la rende capace di indossare una vasta gamma di stati psicologici, in questo caso, come dice lo stesso Autore, “di una femminilità… rarefatta, fino a diventare languore o smanceria”. Molto brava anche la terza sorella, Giselda, che deve rappresentare la figura uscita fuori dal guscio per tentare di “vivre sa vie”, ma poi fallita, e rientrata all’ombra delle due maggiori, che le fanno pagare il fio del coraggio cui ad esse è mancato. E’ anche nel complesso un lavoro perfido in cui Palazzeschi riscatta una trama che potrebbe sembrare improntata a un naturalismo ottocentesco, della famiglia che va a finire male, immettendovi invece i sottili e beffardi tormenti del sesso. Le due brave sorelle credono di averne esorcizzato la tentazione con una esistenza “tutta casa e chiesa”, e soprattutto dedita al lavoro di cucito fine, quello che gli ha consentito di rifare le fortune domestiche, gravemente compromesse da un padre immerso negli stravizi. Fin qui l’andamento della pièce costeggerebbe le sorti tante volte viste nelle storie di decadenza familiare tipiche dell’Ottocento, ma appunto a riscattare il tutto c’è la sottile insinuazione del sesso, tanto cara al grande Aldo. Respinto dalla porta, esso rientra dalla finestra, quando in quella casa arriva un maschio conquistatore, nella persona di un nipote, Remo, che fa ballare le due zitelle al suono della sua velata, ma neanche tanto, seduzione erotica, da pifferaio che spinge le sue vittime alla rovina.
Tutto bene, dunque, comprese le scene di Roberto Crea, che sfruttano abilmente quanto del resto era già implicito nel romanzo palazzeschiano, cioè una sorta di scena fissa, il regno che con tanta fatica le sorelle Materassi hanno ricostituito, ma lambito, minacciato dai marosi esterni scatenati da Remo, che però rumoreggiano all’esterno dell’oasi protetta senza penetrarvi.
Mi si permetta però di fare un passio indietro, di cui l’opinione pubblica sembra aver perso il ricordo. Questa pièce è la conversione secondo gli stimoli del “richiamo all’ordine” di un’opera precedente dello stesso Palazzeschi, “Il codice di Perelà”, che si può considerare il capolavoro assoluto della stagione sperimentale del Futurismo, nel settore della letteratura, ritenuto a torto il meno fertile di successi. L’opera era stata concepita addirittura nel 1911. Un ventennio dopo l’Autore l’ha”voltata” in chiave di ritrovato realismo o verismo, o come altro si voglia dire, sulla scorta del suo grande amico Marino Moretti, che futurista non era mai stato. Mai forse si è assistito a una trasformazione così totale. Il protagonista di quell’opera è figlio di tre creature spirituali, Pena, Rete e Lama, tre Muse, o Parche, da cui salta fuori il protagonista, designato con l’acrostico Perelà, nato non da donna, non uscito da una pancia, bensì da un camino, il che ne fa un “uomo di fumo”, con la consapevolezza aggiunta di essere “leggero”, come non si stanca di ripetere. Anche le Sorelle Materassi, in definitiva, non partoriscono Remo, che giunge a loro già da ragazzino, orfano di una quarta, infelice sorella morta prematuramente. Loro stesse sono figure con schedine biografiche del tutto “naturalizzate”, e anche Perelà subisce una uguale trasformazione, da essere “leggero” che era, ora arriva ad assumere la pesante, provocante carnalità dimostrata da Remo. Ma a ben vedere c’è un fine simile, nei due lavori. Perelà viene sulla terra per far toccare agli esseri umani delle mete superiori, quale evidente figura assimilata a un Cristo redentore. Remo sembrerebbe il contrario, un bieco, un cinico profittatore, pronto a fare strame delle povere zitelle, ma in definitiva anche lui ha il compito di far provare loro un palpito di erotismo, di amore, di avventura, anche se dovranno pagare questo momento magico col duro scotto di andare in rovina.
(18-2-18)

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