Tra pochi giorni Giuliano Gori compirà novant’anni e certamente pioveranno su di lui auguri fervidi e sinceri da tutte le parti, come giusto contraccambio della generosa amicizia che egli ha prodigato a piene mani, da un ruolo di numero uno per le arti visive in Toscana. Io in particolare mi sento legato a lui da riconoscenza e direi anche da affetto, per la considerazione che ha sempre dimostrato nei miei confronti. Fu una grande emozione quando, agli inizi degli ’80, insediato nel ruolo di direttore dell’Istituto bolognese di Storia dell’arte, ricevetti la visita del suo “missus dominicus”, ìl critico israeliano Amnon Barzel, che a nome suo mi invitava a visitare il Parco di Celle, nei pressi di Pistoia. In una collina di cui era proprietario Gori aveva iniziato a installare una serie di maestose sculture all’aperto. Non tardai certo a recarmi in devoto pellegrinaggio in quel luogo d’incanto, fornendo anche la mia penna per celebrarlo, ogni volta che me ne venisse fatta richiesta. Fin dalla prima ora vi si potevano ammirare le opere di artisti di grande fama internazionale, come un labirinto di Bob Morris, e l’intervento di uno scultore, Dani Karavan, particolarmente grato al padrone di casa, oltre a eccellenti presenze di autori nostrani perfettamente in linea con le mie scelte, come un occhio da Ciclope immane, giacente in una forra, trafitto da un giavellotto, grandiosa prova “citazionista” dei coniugi Anne e Patrick Poirier, mentre da uno stagno si elevava una “arpa birmana” di Fausto Melotti. L’esempio era così imponente e suggestivo, da indurmi a tentarne una imitazione in altro luogo, nel forlivese, presso il Comune di S. Sofia, lungo il corso del fiume Bidente. In quel primo momento Gori con la sua numerosa famiglia risiedeva nella villa nobiliare che del parco e terreno agricolo limitrofi era la giusta reggia, ma in seguito, con gesto inaudito, obbligò i suoi a uscir fuori da quella augusta dimora per accamparsi nel modesto appartamento del custode, dato che le stanze maestose del sito padronale dovevano ospitare anche loro delle opere d’arte, ma destinate a decorare le pareti. Nasceva così un doppio museo, all’aperto e al chiuso. Intanto, a poca distanza, a Prato, veniva creato il Centro Pecci, su cui Gori ha sempre steso, con discrezione e tatto, una preziosa influenza. Ma tante altre sono state le sue iniziative, tra cui va ricordato il padiglione di Emodialisi eretto presso l’Ospedale di Pistoia, un modello straordinario, perché Gori lo volle nobilitato dall’inserimento di capolavori di arte ambientale, tra cui l’irrinunciabile Morris, ma anche Buren, Lewitt, e pure presenze nostrane, in quanto uno dei meriti di questo raffinato erede della grande tradizione medicea è di non essere soggetto alle imposizioni internazionali. E dunque. in quel padiglione ospedaliero, accanto ai divi internazionali comparivano pure validi campioni nostrani, come Nagasawa ormai divenuto nostro cittadino, e Parmiggiani, e c’era pure Ruffi, uno dei tre rappresentanti della Scuola di Pistoia, per quanto esposta al rischio di venire sottovalutata come troppo provinciale. Del resto, un altro di quel terzetto, Roberto Barni, svetta nell’aia di Celle, e in una sala interna c’è pure Buscioni. Del resto, a completare lo spirito innovativo del Padiglione nell’ospedale pistoiese, va pure ricordato l’esperimento di evitare il bianco neutro e sterile delle pareti, tinteggiandole invece a colori delicati, tali da instillare gioia di vivere nei degenti. Quanto al centro Pecci, mi sono trovato di nuovo in piena armonia con Gori, e con uno dei suoi figli, nel tentare di porre alla sua direzione l’amico Fabio Cavallucci, che mi era stato accanto nella creazione del Parco del Bidente. Purtroppo l’amministrazione locale non ha rinnovato il contratto a questo operatore, ma evidentemente il nucleo centrale dell’impero di Gori consiste pur sempre in quella Tenuta di Celle che si allarga anno dopo anno, popolandosi di capolavori. Non dubito che il creatore di questo paradiso ambientale abbia già dato sagge disposizioni perché la crescita aumenti anche dopo una sua eventuale scomparsa fisica.