Attualità

Dom. 28-1-18 (dogane)

Chi legge con qualche costanza i miei solitari “domenicali” non può aver dubbi sull’avversità che nutro nei confronti di Trump. Fossi un cittadino statunitense, direi anch’io come milioni di altri “Trump, non sei il mio presidente”. Uno dei suoi reati più consistenti è stato quello di sostenere la “flat tax”, trovando pronta eco in tutti i destrorsi di casa nostra, ben lieti di fare gli interessi delle classi abbienti. Ma diverso è il peso della sua campagna a favore di una reintroduzione dei diritti doganali, Posso dire di averlo preceduto, su questa strada, in numerosi articoli stesi per una sede non dubbia come l’”Unità”, finché è uscita. E anzi, in quei miei interventi esortavo i sindacati di sinistra ad abbracciare quella causa, stabilendo in tale direzione un accordo con i loro corrispondenti degli altri Paesi europei. Si ragioni: predicare il libero commercio internazionale, l’abbattimento di dazi doganali e simili, sarebbe una causa giusta se il costo del lavoro fosse paritetico in ogni nazione del mondo, ma se da qualche parte è inferiore della metà o anche più rispetto ai nostri salari, portando a una produzione di merci con corrispondenti minori spese, cosa che succede per esempio in Cina o in India, come è possibile sostenere il diritto a un libero ingresso dalle nostre parti di una simile merce, suscettibile di fare una spietata concorrenza a quanto da noi prodotto? Purtroppo saremmo minacciati non solo dalla concorrenza di chi produce a costi enormemente più bassi in casa sua, ma ne viene anche la tendenza dei nostri industriali a trasferire all’estero le loro officine, proprio per sfruttare questo vantaggio. Si lasci pure che essi vadano a realizzare queste proficue combinazioni fuori dei nostri confini, purché le merci così ottenute restino su quei mercati, contribuendo utilmente ad accrescervi il livello di vita. Ma se compare la pretesa di importare quelle merci presso di noi, appare logica la necessità di introdurre proprio dei diritti doganali di compenso, così da porre quei prodotti in linea con i costi della fabbricazione quale è possibile presso di noi. Altrimenti la nostra classe operaia, altro che andare in paradiso, andrebbe risolutamente a picco. Il discorso mi sembra elementare, ineccepibile, e se anche viene dal diavolo Trump, non ne cancella la bontà intrinseca. Temo che i difensori a oltranza della libera circolazione delle merci strizzino l’occhio ai proventi che anche i nostri padroni del vapore potrebbero fare, o già fanno, andando a produrre in luoghi dove il costo del lavoro è decisamente basso. In sintesi, Trump è un diavolo perverso quando si fa capofila nel predicare la “flat tax,” ma diventa un buon diavolo quando difende il diritto degli Usa di mettere al riparo la propria classe operaia dall’invasione a prezzo inferiore dei prodotti altrui. Sarà possibile predicare un libero mercato, causa in sé più che giusta, solo quando i costi dei salari saranno pareggiati.

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