Arte

Ennesima, una mostra davvero agnostica

La Settimana scorsa, alla Triennale di Milano, ho visitato “Ennesima”, ovvero, come recita il sottotitolo, “Una mostra di sette mostre sull’arte italiana”, dove ho avuto il piacere di essere accompagnato dallo stesso curatore, Vincenzo De Bellis, giovane pieno di entusiasmo e fiero, com’è giusto, della sua iniziativa. Tuttavia ritengo che il fine dichiarato in apertura, di aver dato luogo alla “Genesi di una mostra nata agnostica” sia la classica “excusatio non petita”, con quel che segue, cioè l’ammissione di una rinuncia, ingiustificata se appunto viene messa in atto da un curatore di belle speranze. Perché questo rinunciare a un ruolo in proprio, a un elementare diritto di riscrivere la storia, o anche solo la cronaca degli anni recenti? Tanto più che nessuna di queste rassegne rievocate era apparsa epocale, nulla a che fare con iniziative quali il famoso “When Attitudes become form” che mise in orbita il grande Szeemann, e neppure, modestia a parte, la mia “Ripetizione differente”. Le mostre qui riesumate erano già allora alquanto agnostiche e servivano a mettere in luce i “soliti noti”, cioè una sfilata di bei nomi, pescati tra vecchi e nuovi esponenti della ricerca. Per carità, queste opere si rivedono con piacere, propiziate anche dai magnifici spazi del Palazzo dell’arte, una superba conquista della Milano e dell’Italia tutta Anni Trenta, però rivedere la documentazione di famose performances, di Kounellis, Vaccari, Vettor Pisani, De Dominicis ecc, da un lato, è senza dubbio piacevole, ma è un pro-memoria rapido e fuggitivo che non so proprio a che cosa serve, non apre a un motivato approfondimento di discorso. Questo concentrato di esibizioni del passato prende semmai un po’ più di senso quando si procede verso i nostri anni, è senza dubbio utile vedere una ampia sintesi relativa all’”Immagine della scrittura”, dove compaiono opere peraltro ben note e più volte ammirate del Gruppo 70 e in genere delle ricerche verbo-visive, che però oggi meriterebbero qualche aggiornamento, per esempio l’inserimento di qualche numero uno dell’ex-Gruppo 63, che allora era sembrato lasciare il campo del verbo-visivo ai colleghi fiorentini, ma in seguito è entrato anch’esso in pista in modi autorevoli, si pensi a Corrado Costa e soprattutto a Nanni Balestrini. Ma certo può scattare l’alibi che “allora” questi autori non entravano nel fenomeno, il che però è un “ennesimo” indice della sterilità del trincerarsi troppo presto in un “agnostico” filologismo, senza rifare i conti. Utile senz’altro offrirci un “Archivio corale” relativo allo Spazio di Via Lazzaro Palazzi, in cui sono emersi, tra gli altri, protagonisti come Mario Airò, Liliana Moro, Bernard Rüdiger, ma perché sommergerli nei documenti e opuscoli, invece di darcene le opere stesse, statu nascenti? Del resto, trattandosi di “vincitori”, li ritroviamo qua è là in altre di queste rassegne, secondo il copione dispersivo-ripetitivo che la presente iniziativa assume. Invece essa prende coraggio dedicando un “assolo” a Sandrinus, a Alessandro Pessoli, artista nato dalle parti della mia città, Bologna, oggi felicemente emigrato a Los Angeles, e testimone dell’attuale impetuoso ritorno alla pittura, affidata a un pennello grosso e grasso, che ripercorre senza freni le mosse di installazioni e apparati oggettuali provenienti dal culmine dei tempi appena trascorsi: pronto anche ad affidarsi a sequenze video, anche in questo caso ridipingendo, quasi al modo di Warhol, vecchi documentari, dove, poniamo, si vedevano le esilaranti prestazioni di Petrolini, ora rifatte in stile volutamente maccheronico. Infine, per così dire, De Bellis e collaboratori gettano via lo scranno su cui si sono assisi da pretesi arbitri imparziali di una qualche partita di tennis, a contemplare i colpi provenienti dalle varie parti, entrano in scena direttamente nell’ultima sezione, “Tempo presente, modo indefinito”. Quanto sarebbe stato meglio se avessero fatto dilagare quest’ultima tappa, magari citando i “soliti noti” solo a titolo di maestri e predecessori, indispensabili per capire la piega presa dagli eventi. In questo caso la mia simpatia va ad alcuni giovani che io stesso avevo selezionato in passate occasioni, o cercato invano di includere nei miei banchetti. Yuri Ancarani è stato convitato a una delle mie rassegne di videoarte volte a compilarne puntuali yearbooks. Ora si vale pur sempre del video, ma applicandolo con minuti interventi che danno un palpito di movimento a pannelli in apparenza di lucida e statica immobilità, tanto che quasi ci si frega gli occhi, nello stupore del “vedo o non vedo?”. Ho avuto invece dei rifiuti da Giorgio Andreotta Calò, che qui lascia cadere i suoi volatili interventi acustici per darci invece come delle calotte craniche, o dei frutti tropicali sepolti sotto copiose frange di tessuto pilifero. E c’è pure una presenza enigmatica di Santo Tolone, qui chiuso in un apparente insulso rigore astretto-geometrico, ma so che dispone di tante altre frecce al suo arco. Per finire, e riassumere quasi i pregi e i difetti della presente iniziativa, ovvero per farmi ripetere per l’”ennesima” volta un verdetto già emesso, incontriamo la sezione “Site specific e dintorni”, con i pleonastici, perché già tante volte visti, Massimo Bartolini, Monica Bonvicini, Alberto Garutti, e invece un vivace e innovativo Luca Vitone, con le sue iniziative temerarie, come sarebbe, nel caso presente, di prelevare un intero vicolo dalla sua Genova, caratterizzato da tanti ciottoli a vista, quasi un inserto di spirito medieval-popolare nel razionalismo architettonico del Palazzo.
Ennesima, a cura di Vincenzo De Bellis. Milano, Triennale, fino al 6 marzo.

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