Letteratura

Pincio: un perfetto concentrato di autismo

A Tommaso Pincio rivolgo l’approccio di piena sintonia con cui accolgo in genere le prove di quanti sono passati attraverso le prove generose e indimenticabili di RicercaRE, il “Laboratorio di nuove scritture” che assieme a Nanni Balestrini ed altri ho tenuto a Reggio Emilia negli anni Novanta e poco oltre. Però, mentre la maggior parte di chi si è rivelato in quegli incontri, da Ammaniti a Covacich a Scarpa ecc., può essere ricondotto più o meno, come non mi sono stancato di dire, a una sorta di Nuovi Gettoni volti a esplorare l’Italia del boom, esaltata e oppressa nello stesso tempo dal dilatarsi delle risorse, così da delineare quasi, come anche ho detto, una situazione di neo-neorealismo, Pincio si è piazzato in direzione opposta, a presentarci personaggi alieni, immersi e compiaciuti di un loro irrealismo di fondo. Non per nulla solo lui è riuscito a darci una prova convincente di fuga nel futuro e in sfondi da fantascienza, con “Cinacittà”, e si è pure immerso in una specie di “concettuale” a livello di narrativa, trasferendo sulla pagina quelle prove accampate sul vuoto spinto che gli artisti visivi ci hanno fornito negli ultimi decenni, fino a negare proprio la visività di partenza E Pincio, che è stato a lungo il fedele collaboratore di un gallerista di super-avanguardia, Gian Enzo Sperone, è la persona meglio abilitata a operare questo trasferimento, a darci cioè avventure algide, sideree, come di un cosmonauta disperso per sempre in uno “Spazio sfinito”, altro suo titolo. Oppure solo lui poteva ideare l’assunto ironico e paradossale di un “Hotel a zero stelle”, luogo di una penuria assoluta, dove si serve pure un caffè fatto di vuoto spinto. Diciamo insomma che in questo spingersi nelle zone dell’immaginario e del rarefatto Pincio si avvicina all’unico altro nostro narratore che talora sa fare qualcosa di simile, mi riferisco a Baricco, di cui mi è rimasta nella penna la lode al suo “Gwyn”, mentre sono riuscito ad esprimerla per la recente “Sposa giovane”. Però bisogna anche aggiungere che Baricco, troppo confidente nei suoi mezzi, e troppo adulato dallo establishment, ha a suo debito molti passi falsi, mentre al confronto molto più limpida e irreprensibile risulta la carriera del nostro Pincio.
Che ora, con “Panorama”, ci fornisce una specie di antologia di tutte le possibilità quali si presentano a una vittima assoluta di autismo, l’Ottavio Tondi protagonista, che in odio verso il padre, troppo immanicato nella realtà di tutti i giorni, si vuole inetto totale, condannato a vivere in completa solitudine, solo alimentando una voracia famelica per i libri e la loro lettura, da cui ricava i magri guadagni che gli consentono di tirare avanti con mille ristrettezze. Ma la vita, anzi, la non-vita di questo condannato è costellata di perdite e insuccessi. Infatti deve sperimentare la crisi del cartaceo, tanto da inscenare proprio una trovata “concettuale”, degna del “Gwyn” di Baricco, o ripresa, e qui è il Pincio addetto al mondo dell’arte a entrare in scena, dalle prestazioni fondate sul silenzio di John Cage e del suo allievo fiorentino Giuseppe Chiari. Infatti in una fase della sua vita il nostro Tondi si presenta sul palcoscenico dove tiene un silenzio assoluto, legge sì, ma senza pronunciare un solo suono. Del resto il libro è come una ciambella di salvataggio che gli permette di affrontare anche i problemi del sesso, cui in linea di massima è negato sia per un aspetto fisico scostante, sia per la chiusura a riccio in se stesso, ma riesce a contattare qualche prostituta, purché gli renda le prestazioni erotiche con la copertura dell’atto della lettura, mentre cioè legge qualche pagina. Il che ovviamente lo rende sospetto alle oneste puttane, e ai loro protettori, incapaci di classificare questa anomala e assurda perversione estranea alle loro conoscenze.
Volendo fare una critica di questo libello, pur in sostanza apprezzabile e ben condotto, si potrebbe rilevare la contraddizione tra un passo finale che conduce il predestinato Tondi al silenzio e invece il fatto che proprio non riesce a evitare di apparire sempre immerso nell’atto della lettura, come gli succede passeggiando di notte a Roma, sua città, sul Ponte Sisto, dove una banda di giovinastri, irridendo a quel vezzo da intellettuale, lo insegue e lo picchia a sangue, sconvolgendone l’esistenza. Ma l’atto finale dell’autismo è indicato dal titolo stesso del romanzo, o lungo racconto, “Panorama”, consistente a quanto pare (confesso in merito la mia incompetenza) in un sistema telematico di dialogo a distanza, confortato anche da immagini, e così il nostro soggetto autistico riesce a dialogare da lontano con una creatura, tale Ligeia Tissot, non si sa se davvero esistente o no, ma sappiamo bene quanto Pincio si trovi a suo agio nel frequentare le dimensioni, “sfinite”, al limite, irreali o virtuali quanto più si può. Conviene anche precisare che accanto al protagonista c’è pure un portavoce dell’autore, pronto anche a tenere un piede nella realtà e a chiamare in causa rappresentanti in carne e ossa del mondo delle lettere. Fanno capolino, evocati con spirito beffardo, Andrea Cortellessa, Francesco Pecoraro, Antonio Gnoli, con le sue famose interviste su “Repubblica”, e c’è perfino un accenno alla misteriosa Ferrante, però, chissà perché, in questo caso mascherata sotto lo pseudonimo di Gloria Stupenda. Queste incertezze e variazioni forse rendono meno compatta e coerente la narrazione, che però si riscatta quando anche l’approdo alla fantomatica Ligeia Tissot appare un barbaglio, una fata morgana. E’ stata la crudele vendetta di tale Mario Esquilino, contro cui a suo tempo il Tondi in versione di lettore professionale aveva emesso una stroncatura feroce. Ma resta il dubbio, l’autismo di Tondi si è rinchiuso su se stesso, attraverso il dialogo illusorio con una inesistente interlocutrice, oppure egli ha commesso l’ultimo reato di sfiducia e di rinuncia verso la vita, sconfessando forse l’unica creatura che avrebbe potuto gratificarlo di un amore, anche se diafano, irreale, come tutto quello che riguarda il nostro triste protagonista? Certo è che, dopo quest’ultima delusione o disavventura, non gli resta che andare ad annegarsi nel Tevere, inevitabile chiusura di questa corsa tutta in discesa, di azzeramento progressivo di tutte le vie d’uscita. In conclusione ci si può chiedere se Pincio ha fatto bene a moltiplicare le vie di fuga e le conseguenti porte sbarrate, o se invece doveva avviare la sua vittima, come un tonno desinato al macello, entro un’unica prigione, dedicando ad essa le attenzioni che invece ha disseminato lungo troppe piste. Ma certo in tal modo ha accresciuto l’attrazione insita nella sua nuova prova.
Tommaso Pincio, “Panorama”, Milano, Enne enne editore, pp. 199, euro 13.

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