Letteratura

Un dialogo impari Tra Ammaniti e Avallone

La “Lettura” di domenica scorsa 26 gennaio offre come piatto forte un dialogo tra Nicola Ammaniti e Silvia Avallone. O meglio, più che un dialogo alla pari, è un’intervista che la giovane autrice (1984) indirizzo allo scrittore più anziano di lei di un ventennio (1966). In realtà, è un incontro impari, a senso unico, dove la giovane intervistatrice dichiara la sua ammirazione per l’autore più maturo, e ne ha ben donde, infatti a mio avviso Ammaniti è il numero uno di quella squadra poderosa che abbiamo avuto la fortuna di ospitare negli incontri anni Novanta a RicercaRE, Reggio Emilia, quelli connotati dalla formula lanciata dal duo Cesari-Repetti di “gioventù cannibale”. Il loro merito, e di Ammaniti in particolare, è stato di rilanciare la componente che sembrava vitanda, in una narrativa di ambizioni sperimentali, legata a un recupero della trama, del plot o dell’intrigo, o come altro si voglia dire. Tanto che i “puri” assertori delle avanguardie vecchie e nuove, sul tipo di Angelo Guglielmi, sono stati molto reticenti nel seguirci in quell’impresa, e in particolare proprio su quell’esponente di punta hanno sempre presentato un “pollice verso”. Invece per capire fino in fondo Ammaniti, bisogna forse prendere le mosse dal titolo di uno dei suoi capolavori, “Come Dio comanda”. Infatti il nostro narratore non ha snobbato il ruolo di “deus ex machina” nei confronti dei suoi svolgimenti, ha inserito una istanza superiore, inesorabile come una “ananke” greca, che si inserisce perfettamente nel panorama della nostra realtà quotidiana, con le sue miserie, squallori, passi falsi, e li manovra, implacabile, verso la catastrofe, verso un finale grandioso, dando fuoco alle polveri, talvolta anche in senso reale, Di questo superbo, inesorabile, sequenziale narratore sono stato più volte l’estasiato e convinto esegeta, nutrendo qualche dubbio sui suoi ultimi passi. Come quelli rappresentati da “Anna”, e devo dire che mi turba il suo attuale passaggio a riversare il racconto sul supporto digitale, anche se in linea di massima una variante del genere rientra in pieno nella mia teoria, che dichiara, nel nome di Aristotele, l’equivalenza poetica del raccontare in terza o in prima persona, del romanzo e del cinema, ammettendo inoltre che anche questo oggi debba rifluire nella tecnica digitale. Rivio in proposito a un mio recente opuscolo, “Una mappa per le arti nell’epoca digitale”.
La Avallone, ben consapevole della distanza di valore tra i suoi propri exploit e quelli dell’intervistato, lo gratifica di un entusiasmo di cui però non si trovano tracce nei suoi tre romanzi. Il primo, ”Accaio”, è stato oggetto di una mia stroncatura perché ricadeva in soluzioni da vecchio neorealismo, alla maniera di Pasolini o di Testori, senza alcuna traccia delle vie innovative del suo interlocutore. Forse qualcosa di meglio compariva nel secondo romanzo, “Marina bellezza”, personaggio più in linea coi nostri tempi, più disinibito e libero. Ma la terza uscita, e più recente, “Da dove la vita è perfetta”, è ricaduta in uno stanco quadro sociologico di disavventure legate alla maternità, accettata o no. Insomma, mentre Ammaniti è il fulgido rappresentante di una fase eroica, sul finire del secolo precedente e oltre, della nostra narrativa, non riconosco un merito del genere alla Avallone, che infatti mi sono guardato bene dal chiamare all’iniziativa in cui ho tentato di dare un seguito agli incontri reggiani, RicercaBO, a parte il fatto che lei stessa avrebbe rifiutato sdegnosamente di parteciparvi. Ma a ognuno i suoi metri di giudizio.

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