Attualità

Opinionisti del “Corriere”, pro e contro

In genere seguo con attenzione i fondi degli opinionisti del “Corriere della sera”, spesso con piena disapprovazione, altre volte invece con cauta adesione, come mi succede per lo più di fronte a quelli firmati da Antonio Polito. Per esempio in uno di qualche giorno fa egli ricordava la volubilità dell’opinione pubblica occidentale davanti alle varie orimavere mediterranee. Allora, si era levato un grido comune che in nome dei sacri valori della democrazia fosse nostro dovere accorrere in difesa di chi, giovani, diseredati, muclei etnici oppressi, si fosse posto in rivolta agitando appunto le bandiere di quei sacri ideali. Oggi invece ha prevalso il cinismo, ci diciamo che è stato follia abbattere Gheddafi, o Sadam Hussein, o Mubarak, dittatori tremendi e sanguinosi, finché si vuole, ma capaci di funzionare da tamponi, da coperchi per tenere represse e schiacciate certe pentole altrimenti ribollenti fino a un punto di esplosione, Tornando indietro a quegli anni, potevamo far finta di nulla lasciando che un orrido dittatore come Gheddafi muovesse da Tripoli per schiacciare il fronte di forte resistenza interna sorto a Bengasi? Credo che fosse doveroso appoggiare la causa degli insorti, anche approfittando della posizione geografica di quel Paese, su cui interventi in forze, più che altro aeree, erano possibili. O in altre parole, rispettiamo il detto “dammi una mano e io ti darò un braccio per tirati fuori dai guai”. Invece questa mano, di qualche gruppo in piena rivolta, non ci veniva dall’Iraq, dove quindi l’intervento massiccio degli USA fu del tutto ingiustificato, tanto più che il tiranno micidiale di quel Paese, Saddam Hussein, lo avevano creato loro facendosene un’arma contro l’Iran. Male allora si comportarono l’inghilterra di Blair e l’Italia di Berlusconi ad associarsi. Non essendoci lieviti indipendentisti in quell’area, fu un tragico errore destabilizzarla. Rimanemmo anche alla finestra davanti ai moti di piazza che sconvolsero l’Egitto, seppure parteggiando per la causa di coloro che volevano abbattere la dittatura del tiranno. Purtroppo, così come si erano innalzati, quei fermenti aperturisti sono rimasti schiacciati per immaturità dei tempi. La democrazia, almeno quella di stampo occidentale, va di pari passo con lo svilupparsi di una economia-tecnologia di stampo industriale, dove questo supporto non c’è, neanche il risvolto libertario riesce a crescere. Ovvero, come sappiamo bene, la democrazia non si esporta, non si impianta là dove non ci siano le condizioni per riceverla e farla prosperare.
Di solito, invece, non sopporto i fondi di Angelo Panebianco, tenace destrorso apari di Ernesto Galli della Loggia, e di Francesco Giavazzi, solito quest’ultimo a stordisci rovesciandoci addosso un balletto di cifre, al termine delle quali rusuona comunque un slogan di condanna del pubblico a favore del privato. Ma oggi Panebianco ha affidato alle colonne del suo giornale un fondo condivisibile, invitando il Pd a non temere il probabile ballottaggio, al momento di elezioni nazionali politiche, con i Cinque Stelle. Il ragionamento di Panebianco, appunto accettabile, è che nel caso di un simile spareggio non sembra verosimile che tutti i “contro” si coalizzino in odio verso Renzi confluendo a favore dei Grillini. Una decisione del genere forse potrebbe essere presa da “arrabbiati” come i Leghisti, soprattutto dietro la guida collerica impressa al loro movimento da Salvini, ma la palude centrista di specie berlusconiana molto probabilmente non si farebbe trascinare ad adottare questa protesta suicida, esprimerebbe un voto più ragionevole, confluendo così nel renzismo, seppure obtorto collo, o “turandosi il baso”, come diceva Montanelli quando invitava a votare, malgrado tutto, Democrazia cristiana, e in questo casi perfino Berlusconi potrebbe esprimersi in tal senso.
Cambiando totalmente argomento, vorrei far scivolare un nuovo appunto nel faldone che raccoglie i casi di “gufismo”, ovvero di ostilità preconcetta a Renzi, un ruolo in cui il vice-direttore dell’Espresso, Marco da Milano, sta superando lo stesso Travaglio, che pure, fin qui, mi sembrava il campione estremo di un atteggiamento del genere. Forse qualcuno ha assistito alla rubrica “8 e mezzo” che la Gruber tiene sulla Sette subito dopo il telegiornale di Mentana, puntata di venerdì 30 ottobre, dominata dalla fine dell’esperienza di Marino in qualità di sindaco di Roma. I “gufi”, i “bandiera contraria” ad ogni costo, qui degnamente rappresentati dal Da Milano, perfino con l’appoggio della conduttrice, una volta tanto non neutra padrona di casa, hanno sottoposto il povero Orfini, responsabile delle mosse Pd di fronte a questa spinosa questione, a un gioco al massacro. Proviamo a riassumere la vicenda. Orfini e dietro lui tutto il Pd, e beninteso, lo sappiamo, risalendo al responsabile numero uno, a Renzi stesso, regista neppure occulto, sono stati accusati a lungo di sostenere Marino pur avendone misurato, come tutti, le insufficienze, le gaffes, i passi falsi, che non sono certo consistiti in una banale vicenda di scontrini, di pasti e viaggi abusivi, in questo ambito chi, tra i politici, è senza colpe, scagli la prima pietra. Ben più grave è stato il fatto che il primo cittadino di Roma si fosse alienato in un modo incredibile e mai visto la fiducia del cittadino numero uno dell’Urbe, il papa sul soglio pontificio. Se questo scontro tra i due fosse avvenuto per una intrepida difesa del sindaco circa i valori di una Roma laica, ovvero vigilando che il Tevere rimanesse largo, tutti avremmo dovuto schierarci a sua difesa, ma le ire di Francesco sembrano essere state suscitate da ben altro, da vergognosi tentativi consumati da Marino, in occasione del viaggio di Francesco negli USA, di ricevere da lui qualche benedizione, qualche difesa e sostegno. Marino si è condannato da sé per incapacità di gestione della cosa pubblica, della sua stessa funzione politica, e dunque il Pd, seppure a malincuore, ha dovuto risolversi a mollarlo, cercando le vie giuste per superare l’ottuso barricarsi a difesa delle sue prerogative da parte della vittima designata. Ma a quel punto i gufi hanno fatto dietro fronte, mettendo sotto accusa il dispotismo renziano, la sua intollerante pretesa di calpestare i diritti degli elettori che Marino lo avevano votato in grande numero. Tutto fa brodo, attaccate, attaccate, qualcosa resterà. Ma ho già detto che non vedo a quale pro’ l’intera formazione dell’”Espresso” e di “Repubblica” sia conducendo questo gioco al massacro contro il giovane leader del Pd. Oggi li posso invitare a leggersi appunto il fondo di Panebianco che cimette utilmente in guardia, non si creda in una inevitabile marcia dei Cinque stelle verso la conquista del potere. A parte il fatto che il pubblico dei lettori dell’”Espresso” mi sembrerebbe appartenere proprio alla categoria di coloro che, seppur tirandosi il naso per i torti renziani verso una sinistra “pura e dura”, lo preferirebbero comunque rispetto all’avventurismo di cui le truppe grilline sono manifestazione.

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