Ho già lodato nella domenica scorsa le generose iniziative dell’ambiente artistico bolognese che ha voluto organizzare un Artcity pur in mancanza del volano di Artefiera, e io stesso ho visitato e molto apprezzato con relativo scritto la mostra di Pessoli in Palazzo Vizzani. Ero pure presente all’incontro tra Nanni Menetti e Flavio Favelli tenutosi alla Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio, in cui Menetti è rientrato per un momento nei panni di Luciano Nanni, da “gran loico”, da estetologo consumato, conducendo una sottile argomentazione che credo si possa riassumere così: la natura, nei nostri tempi, ha sconfitto o messo a tacere l’arte, detta sua figlia, preferendo condurre direttamente i giochi, come fa lui stesso avvalendosi senza mediazioni dei geroglifici che il ghiaccio trama sui vetri, d’inverno. Ma in quell’occasione, mentre senza dubbio prestavo qualche attenzione ai ghirigori intellettuali dell’amico Nanni, mi hanno colpito soprattutto gli affreschi di Prospero Fontana che avevo proprio di fronte, il che ha fatto rinascere in me la convinzione che Bologna ha avuto una grande stagione manierista cui non abbiamo prestato sufficiente attenzione. Io l’ho fatto in un mio testo, “Maniera moderna e Manierismo”, in cui però parlo soprattutto dei pittori manieristi di livello nazionale, ma in definitiva anche Prospero Fontana era degno di farne parte., precedendo a sua volta Pellegrino Tibaldi. E’ un peccato che Bologna non abbia mai dedicato una mostra a quello che ho definito “l’anello mancante”, tra un Trecento sicuramente apprezzato, un Quattrocento, succube però dei vicini Ferraresi, Ma anch’esso, in definitiva, trascurato, con non troppi riconoscimenti indirizzati al proto-rinascimento fresco, primaverile dei Francia e Costa, insomma del clima bentivolesco, da risarcire con mostra adeguata. Poi, certo, una giusta attenzione è andata alle immagini perturbate e proto-manieriste di Amico Aaspertini, grazie a una mostra molto opportuna condotta da Daniela Scaglietti, una delle poche in cui il Comune felsineo si è ricordato dell’importanza e nobiltà delle sue rassegne dai Cinquanta in su. Ma poi si è saltato a pie’ pari il territorio di mezzo, puntando direttamente alla stagione dei Carracci e di Guido Reni, mentre al momento l’alta lezione del Raffaello di S, Cecilia restava come una bomba inesplosa. Il nostro Fontana, appunto da perfetto manierista, disprezza una composizione dai caratteri verosimili, gonfia i corpi, li assiepa, gli dà pose innaturali, fatte proprio per costituire ingombri, per occupare lo spazio. E soprattutto a dominare il tutto ci sta la gamma cromatica, fatta di verdi intensi, di rosa ciclamino, di gialli sulfurei. Sono i colori che vengono da Michelangelo, padre incorrotto di questa nidiata di figli trasgressivi, innamorati di facili effetti, quasi seguaci di un kitsch praticato con secoli d’anticipo. Avevo sperato che un’ampia rassegna dedicata a questa fase intensa e caratteristica della nostra storia visiva, con il valido aiuto di una specialista come Vera Fortunati, venisse già messa in cantiere ai tempi del sindaco Guazzaloca, ma allora vigeva il curioso criterio che il proponente dovesse pure trovare i soldi per realizzare l’impresa. Poi avevo sperato in Roversi Monaco e in Genus Bononiae, ma ora, dopo il suo allontanamento da quella istituzione provvidenziale, temo che il mio sia un sogno da riporre definitivamente nel cassetto.