Arte

La Cappella Herrera

Dal mio solito informatore, “Artribune”, apprendo che Palazzo Barberini, a Roma, ospita al momento  una ricostruzione della Cappella Herrera, nata presso di noi da una committenza spagnola, per cui i vari pezzi si trovano ora in musei di Madrid e di Barcellona. E’ un momentaneo ritorno tra noi, ma importante, perché gli autori costituiscono uno stato maggiore di una delle due biforcazioni del primo Seicento. Da un lato, la pittura a olio, con aggressività di colori e spesso effetti notturni di giganti quali Caravaggio, Rubens, Rembrandt. Dall’altra parte, Annibale Carracci con  alcuni dei suoi eredi, il Domenichino, numero tre di quella eletta compagnia, da cui risulta assente il numero due, o vero e proprio erede di Annibale, quale Guido Reni, e c’è pure un comprimario come l’Albani. Se i membri del primo gruppo preferiscono la violenza del colore a olio, questi altri prediligono in genere l’affresco, in cui l’intonaco alleggerisce e scarica le tinte facendole quasi diventare degli acquerelli delicati, quali si addicano a un’evocazione delle nebbie del passato, nota tipica del classicismo di questa squadra, mentre l’altra sottolinea piuttosto la flagranza dell’attimo fuggente. Da notare che questa spaccatura si riproduce in Francia, dove nei primi decenni domina senz’altro un caravaggismo forse ancor più carico di quanto non fosse nel Maestro, ma poi si impone l’eredità  del Reni e del Domenichino, a cominciare dal numero uno di quella situazione, il Poussin, con il Lorrain a irrobustire quella medesima via a livello di paesaggio. E’ possibile unificare questi due ben scanditi movimenti entro la sola etichetta del barocco? Pare che ora, nella storia dell’arte, si usi effettuare una simile unificazione, ma pur di ammettere che si tratta di due soluzioni ben distinte, per non dire opposte, con tanti passaggi intermedi, come per esempio quello del Guercino, che per metà dei suoi giorni segue l’esempio di Ludovico Carracci, a sia volta corrispondente a un caravaggismo prematuro,  debole, prigioniero di arcaismi, ma poi, quasi intuendo che quel fronte ha ormai i giorni contati, anche il Guercino si accosta all’altra linea, quella del classicismo. L’ultimo dei seguaci del Merisi sarà Mattia Preti, ma in definitiva una tenzone abbastanza simile si ripropone sul finire del secolo tra il tenebrismo del Piazzetta e invece il  chiarismo di Luca Giordano, poi ereditato  e portato a grandi livelli di eccellenza dal Tiepolo.

Cappella Herrera, Roma, Palazzo Barberini, fino al 5 febbraio.

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