Letteratura

Una brillante collaborazione tra l’Italia e il Canada

Ricevo il n. 30/31 della rivista “Parole” (non trovo il carattere con cui dovrebbe essere indicata la lettera “o” secondo la grafia del Saussure). La storia di questo periodico è molto interessante, è stato fondato nel 1985 da Luciano Nanni, cui ho l’onore di aver affidato, negli ormai lontani anni ’70, l’insegnamento di estetica al corso DAMS, dove ha dato ottima prova di sé, riportando più volte la menzione di miglior docente tra tutti. Senza dubbio ha impresso al suo insegnamento, rispetto alla mia precedente conduzione, una svolta accentuata verso interessi logico-linguistici, di cui il termine adottato come sigla della sua creatura è un segno evidente. Ma poi, andato in pensione, Nanni ha cambiato pelle, lasciando cadere gli interessi teorici per darsi alla pratica dell’arte, ideando una tecnica particolare di sfruttamento degli effetti del gelo e della brina sui vetri, adottando per queste sue prove il vocabolo di “criografie”. E per meglio ribadire una simile metamorfosi ha adottato lo pseudonimo di Nanni Menetti. C’è in questo una qualche analogia col mio stesso percorso, dato che, andato in pensione, anch’io mi sono immerso in esercizi pittorici, senza però tralasciare la greppia della teoria, fedele all’immagine dell’Asino di Buridano che ho sempre dato, incerto da quale greppia alimentarsi. Data l’avvenuta trasformazione, Nanni Menetti ha lasciato la direzione di “Parole” affidandola a Antonio Bisaccia, docente all’Accademia di Belle Arti di Sassari, il quale ha realizzato un interessante e inedito ponte transoceanico collegando la rivista, non genericamente all’America del Nord, ma con scelta esclusiva rivolta alla città di Toronto, e così ottenendo una cogestione tra studiosi italiani e colleghi canadesi. Di ciò l’attuale fascicolo è una buona risultante, essendo aperto da un ampio saggio di John Picchione, uno dei migliori italianisti non solo del Canada ma più in generale del Nord America, ben noto sia per gli studi sulla nostra neo-avanguardia, con particolare riferimento ad Antonio Porta, e anche sulla questione generale di come distinguere tra il “modernismo”, il termine che a mio avviso impropriamente i colleghi nordamericani hanno identificato con le avanguardie storiche, e il postmoderno. Recensendo un contributo di Picchione a una simile tematica, ho lodato molto le sue osservazioni critiche relative alla difficoltà di dare confini certi a quel “post”, dato che tanti dei caratteri che dovrebbero assicurarne la specificità si ritrovano già nel “modernismo” degli inizi di secolo. Questa volta Picchione si presenta con una lettura molto analitica della poesia di Guido Gozzano, di cui mette in luce molto bene i vari tratti che lo distinguono dai poeti precedenti, come la grande coppia Pascoli-D’Annunzio, che si erano limitati, come diceva un nostro comune maestro, Luciano Anceschi, a andare “verso” il Novecento senza superare una barriera residua. A dire il vero anche il verdetto finale di Picchione sul caso di Gozzano mi sembra che resti ancora alquanto sospeso, come se quel diaframma non fosse caduto del tutto. Questo matrimonio transoceanico è attestato soprattutto da un saggio, come sempre acuto e ultra-informato, di Bruce Elder, già docente all’Università Ryerson di Toronto, con tante affinità tra Bisaccia e me stesso, al punto che in una sua opera capitale di due anni fa, “Cubism and Futurism”, ci ha concesso l’onore di riportare sul retro alcune nostre frasi, considerandole in piena sintonia col suo pensiero. Che, come il mio, sposta indietro la nascita del postmoderno, e ne fa una cosa sola con l’affermarsi dell’elettromagnetismo, dalle prime intuizioni dei nostri Galvani e Volta su su agli sudi precisi di Maxwell, fino a pervenire alla maturazione completa dovuta a Einstein, e con tanti comprimari lungo questa strada illuminante. Il tutto sotto gli auspici del numero uno di Toronto, Marshall McLuhan, nostro comune mentore. Ci sono poi altri saggi, anche dello stesso Bisaccia, che esaminano l’approdo inevitabile di tutte le arti nel digitale, su cui in parte concordo, ma vorrei anche segnalare un mio recente contributo (“Una mappa delle arti nell’epoca digitale”, Marietti) che naturalmente nessuno di questi interlocutori potenziali ha ancora ricevuto, e dunque non potevo certo sperare di ricevere in merito i loro pareri. Elder e Bisaccia hanno in comune la peculiarità di essere versati prima di tutto nelle arti visive, Elder è addirittura un produttore in proprio di videoarte, o comunque di apporti cinematografici al settore. Questo li porta a ritenere che il digitale abbia ormai vinto la partita, il che è senza dubbio conforme al responso dei nostri tempi, ma con ciò non viene cancellato un fattore di cui si deve continuare ad avvertire la presenza, il fattore trama, o “dieghesis”, o intreccio. Vale a dire, tra i vari esiti della registrazione elettronica o digitale ci sono i componimenti brevi, che in effetti vengono acquisiti dal circuito artistico, li si vede nelle gallerie d’arte, nei musei, nelle Biennali eccetera, dove conta la valorizzazione dei dati sensoriali, al di fuori di una qualche narrazione. Ma le sale cinematografiche, e soprattutto i canali televisivi, ci riversano fiumi di prodotti “lunghi”, la cui durata è di almeno un’ora e più, affidati anch’essi al digitale, ma eredi proprio di quelle componenti che Aristotele fissava nella sua “Poetica” attribuendole, da un lato, al poema epico, antenato della narrativa, dall’altro alla commedia e tragedia, da cui viene l’intera attuale produzione di portata “lunga”. Nessuno va in una sala cinematografica per vedere i prodotti del nostro Elder come video-maker, mentre non avrebbero difficoltà a venire programmati in qualche galleria o museo d’arte. A ciascuno il suo, pur in una comune innegabile confluenza nel digitale.
Parole, nn. 30/31, Editore Mimesis, pp. 474, euro 22.

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