La Galérie Perrotin è, se non sbaglio, l’unica multinazionale che abbiamo in Europa, dato che una concorrente come Gagosian, nonostante le sedi a Roma e a Londra, ha pur sempre il suo epicentro a New York. In passato, un esempio del genere era stato costituito dalla Malborough, ora quasi scomparsa. Perrotin ha sedi, oltre che nella casa madre di Parigi, anche a New York, Hong Kong e Seul, e quasi non passa giorni che non spedisca via rete l’avviso di quale inaugurazione in un posto o nell’altro del suo arcipelago, praticando anche un piacevole polistilismo molto adatto ai tempi presenti, in cui non è reperibile alcun trend dominante. Ma beninteso ogni tanto compaiono dei pesi massimi, come ora è il caso del numero uno giapponese Takashi Murakami, con opere che ricordano una sua bellissima comparsa milanese, nella Sala delle Cariatidi, ma limitata a un inadatto periodo agostano, nel 2015. In questo accrochage si conferma ovviamente il carattere dominante di tutta l’arte dell’artista nipponico, da lui efficacemente ricondotta alla super-flatness, che è un omaggio alla tradizionale piattezza dei grandi grafici suoi connazionali, Hokusai, Hiroshige, Utamaro, ma attualizzata a contatto con l’analoga bidimensionalità della stagione attuale dei fumetti, dei cartoons, dei messaggi pubblicitari. Non dimentichiamo però che Murakami è capace di validissime sortite, con la produzione di statuette agili, snelle, zampettanti come insetti aerei, quasi in competizione col nostro Luigi Ontani, che tuttavia l’ha preceduto su quella strada, e in stretta competizione col numero uno statunitense, Jeff Koons. Ne viene una bella gara tra titani della scena odierna. Ma nello stesso tempo, pur nella conferma di doti ataviche e personali, ora l’asso giapponese inserisce una nota del tutto nuova, che è della crudeltà, a sfida del buonismo, di una certa felicità consumista post-Pop di cui apparivano intrise le sue prestazioni precedenti. Come mi è capitato di osservare altre volte, l’universo dell’arte estremo-orientale è sospeso tra la serenità dei rami di ciliegio e relative efflorescenze e invece la minaccia di mostri marini emergenti dalle profondità oceaniche di cui sono cinte le isole nipponiche. Mostri con dentature minacciose, pronte ad azzannare, a triturare cose e persone che gli capitino a tiro, il che è del resto un modo di ritrovare quella minuzia decorativa che in definitiva è il massimo comun denominatore di questo universo creativo. Del resto, anche i cartoons dell’eccellente tradizione del Sol Levante mescolano allo stesso modo i toni accattivanti e buonisti di un discorso innocente con improvvisi oscuramenti, con ombre minacciose, come succede anche in questi murali del Nostro, a un tratto invasi da chiazze scure, bituminose, come per un’uscita di liquami da qualche contenitore subacqueo che si sia lacerato.
Takashi Murakami, Learning the Magic of Painting, Parigi, Galérie Perrotin, fino al 23 dicembre.