Letteratura

Dove sta la sconfitta di Falco

Mi trovo a riflettere sul romanzo di Giorgio Falco, “Ipotesi di una sconfitta”, che rientra alla perfezione nel genere oggi dominante dell’autonarrazione, della vera o simulata autobiografia. Mi chiedo se questa non sia proprio la sconfitta agitata nel titolo, di una intera ondata di narratori che, consapevoli di non poter fare a meno, nelle loro opere, di una struttura portante, volgarmente detta “trama”, la vanno a cercare affidandosi a una cronaca più o meno puntuale dei loro casi di vita, anche se magari questo è solo un pretesto, e le loro esistenze si sono svolte in modi del tutto diversi. Ma quello che conta, evidentemente, è il criterio adottato. Si sa che in alternativa c’è l’altro refugium peccatorun consistente nel ricorso alle trame del giallo o del poliziesco. Visto un simile stato predominante o invasivo, chi mi legge sa che in recenti puntate ho lodato il genere breve del piccolo poema in prosa, quasi un modo di lasciarsi alle spalle gravi some, preferendo apparire leggeri e disponibili. Pensando a opere precedenti dello stesso Falco, mi chiedo se in definitiva non era preferibile lo sforzo che egli ha condotto ne “La gemella H” di mettere in scena tanti motivi diegetici. Per esempio, un padre che fugge dagli orrori della Germania nazista, raggiunge la famiglia mandata in un esilio insolito a Bolzano, e infine conclude la sua esistenza erratica andando a fare l’ albergatore nei lidi romagnoli, alle prese, con la condotta ambigua e dialettica delle gemelle evocate nel titolo. Ingegnosi sforzi mitopietici, magari col rischio di cadere nell’inverosimile o nel pretestuoso, ma disposti ad affrontare la fatica del mestiere. Qui invece tutto si srotola alla perfezione, nel senso che il narratore penetra a meraviglia in una serie di ambienti, di istiuzioni socio-economiche dei nostri giorni, percorrendole, illustrandole con perfetta e smaliziata competenza. Forse addirittura, misurato su una sponda del genere, il nostro Falco vince la gara, la sua Milano è più veritiera, e vissuta in misura più integrale, rispetto a quella che ci ha offerto Alberto Rollo in un’operazione per tanti versi simili, e in fondo egli supera pure la monotonia, i fallimenti a catena che compromettono le confessioni di Vitaliano Trevisan, quando, in un romanzo recente, anch’egli ha messo da parte le chiavi deformanti di impronta psicoanalitica per darsi a un riporto fin troppo puntuale dei fatti, e dei fallimenti incontrati. Forse in entrambi i casi nuoce proprio l’ordine troppo lineare con cui si succedono le varie incombenze, professioni, mestieri volta a volta abbracciati, e offerti in una lunga geremiade. In fondo un modello lucido e positivo di tutta questa procedura lo si troverebbe in Aldo Busi, il quale però sa dare fuoco alle polveri, inventa passaggi sprezzanti, blasfemi, irrituali, qui invece i fatti , anche se ben caratterizzati, con piena competenza professionale, si susseguono secondo un ordine tutto sommato prevedibile. Anche se, per degli intellettuali come in definitiva sono i lettori di questo tipo di opere, è pur sempre piacevole il progressivo elevarsi delle occasioni, di un povero travet che, dopo essere passato per tutti i lavori più umili e degradanti, trova infine la sua retta via nella condizione di scrittore, nel che è anche un avvicinamento dei fatti allo stato effettuale dell’autobiografia. Molto divertenti, per esempio, sono le pagine in cui ci viene dato conto delle varie manovre per tentare di imporsi al Campiello, con qualche indubbia prossimità a circostanze vissuta davvero in prima persona dall’autore, che ad ogni buon conto cresce di importanza, rasenta o raggiunge addirittura il successo. Quindi, e con ciò ritorno al motivo si partenza, la sconfitta qui ipotizzata non è quella personale della vita che ci viene esposta, ma di un’intera ondata di scrittori che non sanno bene come uscire dal guado, come dotare di trame originali i loro edifici.
Giorgio Falco, Ipotesi di una sconfitta. Einaudi stile libero, pp. 379, euro 19,50.

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