Letteratura

Rodenbach: una Bruges davvero morta

Fazi Editore continua nella sua benemerita attività di proporci opere minori o dimenticate di grandi firme della narrativa straniera, permettendoci così di andare a compiere verifiche. Non importa che poi, all’atto pratico, queste inducano a stendere giudizi limitativi, come mi è capitato nei confronti di un romanzo di Charlotte Brontë, “Il professore”, che non riesce a oscurare la centralità di “Jane Eyre”. Ora ho sul tavolo “Bruges la morta” di Geoges Rodenbach, opera mitica di cui avevo sempre sentito predicare l’eccellenza, per chi volesse valutare a fondo il Simbolismo di marca belga, ovvero di una delle partecipazioni più consistenti alla causa del Simbolismo ottocentesco, accanto ai contributi non meno forti che da quel Paese ci sono venuti nel settore delle arti visive. E’ dunque, questo, un apporto prezioso a una mia campagna di sistematica escussione di ogni altro contributo al Simbolismo letterario, cui conto di dedicare una mia prossima fatica saggistica. Ma devo dire subito che l’incontro, pur giunto opportuno, mi ha deluso. Rodenbach visita sì i luoghi, sacri alla mitologia simbolista, ma lo fa in modi spenti, che alla fine negano ogni aura mistica e riconducono la vicenda narrata a pesanti coordinate quasi di sapore naturalista, niente affatto riscattata. La partenza sembrerebbe avvenire col piede giusto, il protagonista, Hugues Viane, è oppresso dal ricordo di una moglie perfetta, Ofelia, che lo ha lasciato troppo presto, affondandolo in una malinconia irrimediabile, chiusa in una vita appartata, col solo sollievo di compiere passeggiate notturne sui luoghi più tristi, nei Béguinages, nei conventi in cui, certo, si condensa tutto il fascino di una delle “città morte” più celebri, secondo l’elenco steso da chi se ne intendeva, dal nostro D’Annunzio. Ma non si vive di soli ricordi, bisogna pur introdurre qualche dato di trama, e infatti il nostro eroe solitario crede a un tratto di scorgere una figura femminile del tutto simile alla scomparsa, tale Jane Scott. Sarebbe il caso di farne davvero una emanazione dall’oltretomba, un fantasma, un doppio della nostra vile scena quotidiana, ma in definitiva l’autore, e il suo spento rappresentante, non sanno sfruttare possibilità del genere. Jane Scott si dimostra un’esistenza volgare, le sue forme che ricordano il perduto amore sono del tutto mentite, come risulta soprattutto nel momento in cui il protagonista introduce quel falso alter ego della moglie nel sacrario delle sue mura domestiche, incontrando infatti la riprovazione di una fida domestica. Col che, sembra quasi di imboccare un “Rebecca la prima moglie” in anticipo sui tempi, infatti a sostegno di questo romanzo gli si attribuisce il merito di aver anticipato famose soluzioni filmiche, ma a torto lo si collega a un altro capolavoro cinematografico, alla “Donna che visse due volte” di Hitchcock, in quanto là il simulacro della donna amata è pur sempre portatore di valori positivi, nonostante i panni volgari indossati, qui invece non c’è alcun rimedio, alla bassezza morale dell’intrusa, tanto che Viane è trascinato a un atto davvero poco auratico e spirituale, a strangolare la sosia ingannevole, e dunque la vicenda precipita in un basso livello di “fait divers”, di episodio di cronaca nera,
Per un riscontro, mi sono andato a leggere un altro dei sette romanzi che Rodenbach ci ha lasciato, “L’art en exil”, e francamente non so dire se esso sia mai stato tradotto. Ma il verdetto non cambia, qui il protagonista si chiama Jean Rembrandt, dove il riferimento al grande artista olandese è del tutto irrisorio, in quanto si tratta di personaggio presuntuoso e irrisolto, che invano tenta le vie della poesia, senza avere alcun successo. In realtà, invece che trovarci in presenza di una esaltazione del clima sospiroso e malinconico tipico del Simbolismo, assistiamo all’acredine, alla spietata denuncia con cui Emile Zola, nell’”Oeuvre”, ha inseguito e schiacciato, anche là, un artista inconcludente, votato alla catastrofe. Questo romanzo, in un certo senso, costituisce una premessa all’altro, infatti l’incerto Rembrandt crede di realizzarsi inseguendo una leggiadra presenza intravista, al solito, aggirandosi in cerca di ispirazione nei paraggi di un Béguinage, e convincendo tale Maria, che vi è solo nello stato di novizia senza aver preso i voti, a cedere alla sua corte insistente. Ma da quel matrimonio verranno solo guai, Maria sarà logorata da quell’unione, fino a pentirsi di aver lascito il Béguinage, del resto una consunzione fisica, del tutto di sapore naturalistico, o appunto alla Zola, è in agguato su di lei, e se la porta via, lasciando il povero Rembrandt a deperire nella solitudine, nel fallimento di ogni sogno di gloria. Credevamo che, al contrario, nell’inseguimento del miraggio fornito dai simboli, i cultori di quella sindrome riuscissero davvero a sollevarsi, a conoscere un “più spirabil aere”. Qui invece troviamo dovunque grigiore, macerie, ceneri spente.
Geroges Rodenbach, Bruges la morta, Fazi, pp. 105, euro 15.

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