Attualità

Perché l”Espresso” è così anti-renziano?

Noto con meraviglia e preoccupazione che l’armata giornalistica costituita dalla “Repubblica”, come ammiraglia, e dall’”Espresso”, come punta d’attacco, sta esercitando una assidua contestazione ai fianchi della leadership di Renzi. Ovviamente, che il decisionismo renziano debba essere sottoposto a critiche anche ironiche è più che giusto e dovuto, in nome della libertà di stampa, soprattutto da organi pugnaci come i due sopra indicati. Ma se la critica si spinge troppo oltre, e sembra quasi rispondere a un disegno precostituito, dove vuole arrivare? Si intende affondare il governo renziano, ma con quali prospettive in alternanza? L’”Espresso” è quasi diventato un organo monografico dove il solo Marco Damilano arriva a stendere tre articoli, se almeno prendiamo in esame il n. 25, 25 giugno 2015, tutti di più o meno aspra reprimenda contro la “persona sola al comando”. Si giunge perfino ad apprezzare Salvini a vantaggio del presidente del consiglio, in una noterella a p. 21, “Se Salvini convince più di Renzi”, approfittando delle indubbie difficoltà che quest’ultimo incontra a proposito del problema immane degli immigrati che arrivano sulle nostre coste, a bordo delle fragili imbarcazioni degli scafisti. Bravo chi ha in mano una pronta soluzione alternativa, ignobile chi, come Salvini, specula su queste difficoltà per strappare voti all’avversario secondo le ricette del più scoperto populismo. Di sicuro è risibile la ricetta che in altra parte di quel numero, ma in tal caso non ad opera del Damilano, viene suggerita, anche qui se si vuole con un remoto tono di rimprovero a chi, proprio come Renzi, non sa imboccare la strada giusta, che sarebbe di impiantare delle industrie nei paesi allo sbando da cui i poveri emigranti fuggono. Ma chi sarebbero i nostri “capitani coraggiosi” disposti a investire soldi in stati in mano a oscure forze dittatoriali? Se si cercano vie per fermare l’esodo, questa appare la più lontana e improbabile, anche se, sulla carta, sarebbe la più giusta. Poi il solito Damilano va a intervistare Rosy Bindi, consentendole di presentare la sua famigerata lista di proscrizione emessa appena a un giorno dalle elezioni come un atto probo, giusto, da difendere, al punto da attendersi di ricevere le scuse del Pd per gli attacchi subiti. Beninteso l’intervistatore fa capire che, sotto sotto, la bellicosa Rosy ha ragione. Tanto più che, in un’altra noterella di passaggio, anche lui porta il sacrosanto attacco rituale di tutti gli anti-renziani all’aver tollerato la candidatura di De Luca alla presidenza della Regione Campania, un vero scandalo, su cui tutti gli antirenziani si uniscono e intingono il biscotto. Come se invece quella scelta non fosse stata un gesto di saggezza da parte del leader maximo, che forse non sarebbe portato ad amare quel personaggio, senza dubbio non scevro di ombre, ma in definitiva ha ben capito dove portava il vento del consenso popolare. Se poi si vanno a vedere le nequizie che renderebbero impresentabile il De Luca, si deve prendere atto che la sua situazione è del tutto simile a quella del sindaco De Magistris, lasciato però al suo posto di primo cittadino a Napoli, e che la legge Severino è troppo dura verso i dipendenti comunali, introducendo uno spareggio rispetto ai politici, questi ultimi esclusi dagli uffici pubblici solo quando l’iter accusatorio sia pervenuto al terzo e ultimo grado, mentre per gli altri la proibizione scatta subito alla prima condanna. Accanto a queste frecce inflitte al corpo renziano sulle colonne dell’”Espresso”, Damilano è come un banderillero ogni sera, quando figura da ospite quasi fisso nel salotto buono della Gruber. Da lontano e dall’alto vigila il comandante dell’armata, Eugenio Scalfari, con le sue oscillazioni a doccia scozzese, per cui qualche volta approva certi atti renziani, ma più spesso li disapprova, li condanna, li giudica forieri di minacce e insidie. E proprio domenica scorsa, 21 giugno, su “Repubblica”, nel suo consueto lenzuolo che viola tutti i precetti giornalistici volti a consigliare una certa sinteticità di esposizione, Scalfari tira fuori un argomento contorto ma insidioso, tanto per colpire come sempre l’odiato-amato interlocutore. Prende le mosse addirittura dallo scrittore portoghese José Samarago, che in un racconto di fantasia ha immaginato una via indiretta attraverso cui un’intera popolazione ha reagito alle imposizioni di un dittatore, proteso a costringere tutti alle urne, al che i cittadini si sono piegati, ma mettendo nell’urna una pioggia di schede bianche, in segno eloquente di tacito dissenso. Si capisce bene dove sta l’equazione, cara a tutto l’anti-renzismo: l’alto indice di non-voto manifestatosi nella recente tornata elettorale delle regionali è stato un modo di votare contro Renzi, contro il suo decisionismo, i vari interventi di forza cui costringe il Parlamento e la minoranza del suo partito attraverso vere e proprie coercizioni. Ma tutti questi punti di spillo dove vogliono arrivare? Certo gli astuti e avveduti toreadores come quelli qui indicati non vogliono “matare” il toro, non avendo in mano alcuna soluzione di ricambio, oppure questa c’è, e sfugge solo a uno sprovveduto come me?

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