Attualità

Dom. 8-9-19 (graduatoria)

Ora che il varo del governo giallo-rosso, da me tanto auspicato, è avvenuto, mi permetto, pur nella mia totale irrilevanza, di stendere una graduatoria dei meriti e dei demeriti di quanti vi hanno contribuito. Al primo posto dei valori positivi ci sta senza dubbio Giuseppe Conte, venuto crescendo nel tempo, dallo stadio di re travicello, di burattino fino a quello di promettente e risolutivo capo di stato. Egli si è studiato con pazienza i suoi due burattinai, ne ha scorto i punti deboli, mietendo consensi alle loro spalle, forse anche sfruttando, nelle relazioni internazionali, una buona conoscenza dell’inglese che gli ha permesso di dialogare in diretta con pezzi grossi come Trump e Merkel, ottenendone la simpatia. Meriti diretti, aver chiuso decisamente il forno in direzione di Salvini costringendolo alla resa, e anche di essere riuscito a fare, a incarico quasi avvenuto, il più bel discorso ascoltato in tutta questa congiuntura, in cui ogni altro invece si è distinto per toni cauti, reticenti, mezze misure. In particolare hanno brillato per scarso entusiasmo i numerosi commentatori politici dei vari salotti televisivi, quasi una sorta di coro muto della Butterfly, per paura di esporsi troppo. Al secondo posto viene Grillo, dimostratosi capace di intenti costruttivi, mentre lo avevamo conosciuto solo come uno sferzante distruttore di ogni certezza. A lui si deve il riconoscimento delle capacità di Conte, fino a proporlo come nuova guida dei Cinque Stelle, a detrimento dei soliti noti. Poi viene il mio preferito, nel fronte Pd, Renzi, che con il pronto fiuto che deve caratterizzare un politico di valore ha capito che era ora di invertire la tendenza e di aprire alla formazione fin lì considerata avversa. E beninteso in questa apertura è stato accompagnato da Franceschini, distintosi come il migliore, più sollecito e attivo nell’aprire il nuovo forno e nel renderlo agibile. Mentre in definitiva un mediocre punteggio va riservato a Zingaretti, costretto a modificare di continuo la sua linea, da un’iniziale avversione all’apertura del fronte, forse con il segreto, nocivo intento di andare a nuove elezioni, disastrose per noi, ma col vantaggio di distruggere le truppe parlamentari del competitor, dell’odiato Renzi. Poi è venuta la vana pretesa di ottenere segni di distacco dal precedente governo, con il rifiuto verso Conte, poi costretto a rimangiarselo, e così via, di cedimento in cedimento, ma infine, riconosciamolo, con un capacità di incassare i colpi, di far buon viso a cattiva fortuna, tanto da presentarsi alla fine con un faccione contento, sorridente, beneaugurante. Votazione bassa per un Presidente Mattarella, che era stata troppo concessivo accordando ben un’ottantina di giorni allo scellerato congiungimento Lega-Pentastellati, e poi invece incalzato i nuovi pretendenti, avviati verso un difficile matrimonio, a concludere in pochi giorni, quasi che questa volta, quasi per compiacere Salvini, fosse in lui la voglia di forzare i tempi e di andare davvero a nuove elezioni. Poi, ad accordo concluso, sono venuti da lui soltanto dei referti freddi, neutri, distaccati. Infine il voto più basso, anzi del tutto negativo, va a Di Maio, che ha difeso con le unghie le sue varie poltrone. In definitiva, era davvero allettato da quella poltrona di premier che Salvini gli offriva, una volta accortosi del passo falso compiuto, con l’impossibilità di strappare nuove elezioni. Se non ci fosse stato di mezzo l’atto di ferma ostilità e preclusione compiuto lucidamente da Conte, forse il matrimonio scellerato Salvini-Di Maio si sarebbe ricomposto. Quest’ultimo ha resistito impavido alla scomunica che pure gli è venuto dal mentore Grillo, ha pronunciato un discorso in cui ha rifiutato qualsivoglia cenno di critica o di abiura agli atti del precedente governo, non ha per nulla esortato i suoi a votare sulla piattaforma Rousseau a favore della nuova combinazione, ha insidiato fino all’ultimo la nascita stessa del governo. Mercoledì scorso ho lanciato un grido d’allarme, riconoscendo di quanto pericolo potenziale fosse latore Di Maio, quasi portatore di un esplosivo pronto a scoppiare con potere lacerante, esortando quindi a dargli un qualche riconoscimento. Forse meglio assegnargli il ruolo di vice-ministro piuttosto che un ministero così importante come quello degli Esteri, a cui egli appare del tutto inadeguato. Ma forse si pensa che in un Paese come il nostro, di scarso potere oltre le frontiere, i Ministeri di carattere economico abbiano più importanza, Particolarmente odiosa la pretesa, sempre ribadita da Di Maio, di essere alla testa di una formazione in equilibrio indifferente tra destra e sinistra. Mi auguro che il Pd riesca a farlo ricredere, con l’aiuto delle sapienti mediazioni di Conte, e che in definitiva appena possibile Di Maio sparisca del tutto dalla nostra scena politica.

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